Parafrasi, Analisi e Commento di: "L'assiuolo" di Giovanni Pascoli


Immagine Giovanni Pascoli
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi puntuale
4) Parafrasi discorsiva
5) Figure Retoriche
6) Analisi e Commento
7) Confronti
8) Domande e Risposte

Scheda dell'Opera


Autore: Giovanni Pascoli
Titolo dell'Opera: Myricae
Prima edizione dell'opera: 1891
Genere: Poesia lirica
Forma metrica: Tre strofe di sette novenari più una sillaba onomatopeica (chiù) a conclusione, in rima con il sesto verso della strofa. Lo schema ritmico è ABABCDCD



Introduzione


"L'assiuolo" è una delle poesie più celebri di Giovanni Pascoli, pubblicata nella raccolta Myricae nel 1897. Il componimento appartiene al genere simbolista e si caratterizza per la sua atmosfera malinconica e misteriosa. Attraverso la descrizione di una notte immersa nel silenzio e nella natura, Pascoli evoca sensazioni di solitudine e inquietudine, che trovano il loro culmine nel verso del rapace notturno, l'assiuolo, simbolo di morte e angoscia. La poesia è un esempio della poetica pascoliana del "fanciullino", che rivela un mondo percepito con innocenza e stupore ma anche con un senso profondo di smarrimento esistenziale.


Testo e Parafrasi puntuale


1. Dov'era la luna? ché il cielo
2. notava in un'alba di perla,
3. ed ergersi il mandorlo e il melo
4. parevano a meglio vederla.
5. Venivano soffi di lampi
6. da un nero di nubi laggiù;
7. veniva una voce dai campi:
8. chiù...

9. Le stelle lucevano rare
10. tra mezzo alla nebbia di latte
11. sentivo il cullare del mare,
12. sentivo un fru fru tra le fratte;
13. sentivo nel cuore un sussulto,
14. com'eco d'un grido che fu.
15. Sonava lontano il singulto:
16. chiù...

17. Su tutte le lucide vette
18. tremava un sospiro di vento:
19. squassavano le cavallette
20. finissimi sistri d'argento
21. (tintinni a invisibili porte
22. che forse non s'aprono più?...);
23. e c'era quel pianto di morte...
24. chiù...
1. Dov'era sparita la luna? – veniva da chiedersi – dato che il cielo
2. era immerso (nuotava) nella luce chiara e perlacea dell'alba
3. e sembrava che il mandorlo e il melo innalzassero i loro rami
4. Come per affacciarsi al di sopra del cielo per capire dove fosse.
5. Si vedevano i lampi guizzare
6. Tra un accumulo di oscure nuvole temporalesche all'orizzonte;
7. e si sentiva un grido d'uccello simile a una voce umana dai campi:
8. chiù (il verso triste e lamentoso dell'assiuolo).

9. Le poche stelle visibili brillavano
10. in mezzo al chiarore lattiginoso diffuso dalla luna (nebbia di latte).
11. Sentivo l'ondeggiare della risacca del mare,
12. sentivo un fruscio rapido tra i cespugli,
13. sentivo il mio cuore che sussultava dallo spavento,
14. come se fosse l'eco di un antico grido di dolore.
15. Si sentiva lontano il pianto convulso:
16. chiù...

17. Sulle cime degli alberi, ben visibili e lucenti per il riflesso della luna,
18. un leggero venticello passava facendo tremolare le foglie;
19. le cavallette emettevano un suono stridulo frullando le ali,
20. come i sistri d'argento
21. (come se bussassero a invisibili porte – quelle della morte –
22. Che probabilmente nessuno potrà mai aprire?).
23. E quel pianto funereo si sentiva ancora:
24. chiù...



Parafrasi discorsiva


Dov'era sparita la luna? – veniva da chiedersi – dato che il cielo era immerso (nuotava) nella luce chiara e perlacea dell'alba e sembrava che il mandorlo e il melo innalzassero i loro rami come per affacciarsi al di sopra del cielo per capire dove fosse. Si vedevano i lampi guizzare tra un accumulo di oscure nuvole temporalesche all'orizzonte; e si sentiva un grido d'uccello simile a una voce umana dai campi: chiù (il verso triste e lamentoso dell'assiuolo).

Le poche stelle visibili brillavano in mezzo al chiarore lattiginoso diffuso dalla luna (nebbia di latte). Sentivo l'ondeggiare della risacca del mare, sentivo un fruscio rapido tra i cespugli, sentivo il mio cuore che sussultava dallo spavento, come se fosse l'eco di un antico grido di dolore. Si sentiva lontano il pianto convulso: chiù...

Sulle cime degli alberi, ben visibili e lucenti per il riflesso della luna, un leggero venticello passava facendo tremolare le foglie; le cavallette emettevano un suono stridulo frullando le ali, come i sistri d'argento (come se bussassero a invisibili porte – quelle della morte – che probabilmente nessuno potrà mai aprire?). E quel pianto funereo si sentiva ancora: chiù...


Figure Retoriche


Allitterazioni: v. 12, v. 20, v. 21: "sentivo un fru fru tra le fratte", della "i" ed "s": "finissimi sisstri d'argento", della "i" ed "n": "tintinni a invisibili porte". Insistenza sulle consonanti che riproducono i rumori notturni e il rumore prodotto dal verso degli insetti.

Anafore: vv. 8, 16, 24, vv. 11-13: "chiù...". Ripetizione della parola chiave che domina su tutti i rumori notturni e chiude le strofe come un ritornello, "sentivo il cullare del mare, /sentivo un fru fru tra le fratte; / sentivo nel cuore un sussulto". Ripetizione che elenca le sensazioni esteriori (principalmente uditive) accostandole a quelle interiori.

Analogie: v. 10: "nebbia di latte". La luce prodotta dalla luna rimanda all'immagine di una nebbia il cui colore è assimilato al biancore del latte.

Climax: vv. 7, 15, 23: "veniva una voce dai campi/ sonava lontano il singulto/ e c'era quel pianto di morte". Il verso dell'assiuolo è introdotto gradualmente nelle tre strofe come un lamento man mano maggiore.

Iperbato: vv. 3-4: "ed ergersi il mandorlo e il melo / parevano a meglio vederla.". Costruzione complessa che apre la poesia e introduce l'immagine generale e statica del paesaggio.

Domanda retorica: v. 1, vv. 21-22: "Dov'era la luna?". Domanda posta dal poeta a se stesso come se fosse messa in bocca agli alberi che cercano la luna, "Tintinni a invisibili porte/ che forse non s'aprono più?". Il poeta si interroga implicitamente sulla natura funebre del frinito delle cavallette.

Onomatopea: vv. 8, 16, 24, v. 12, v. 20, v. 21: "chiù...", "fru fru", "finissimi sistri d'argento", "tintinni". Termini che descrivono i lievi rumori che popolano la notte quasi riproducendoli per iscritto.

Metafore: v. 2, v. 10, v. 11, v. 18, vv. 19-20, vv. 21-22: "alba di perla", "nebbia di latte", "sentivo il cullare del mare", "sospiro di vento", "squassavano le cavallette/ finissimi sistri d'argento", "Tintinni a invisibili porte / che forse non s'aprono più?". I colori del paesaggio e i rumori della notte vengono resi anche con rimandi cromatici o sonori ad elementi esterni come ad esempio le perle o il latte.

Metonimia: v. 6: "nero di nubi". Indicato il temporale all'orizzonte attraverso il carattere cromatico delle nuvole da cui esso scaturisce.

Parallelismi: vv. 11-13: "sentivo il cullare del mare, / sentivo un fru fru tra le fratte;/ sentivo nel cuore un sussulto". Costruzione sintattica ripetitiva che indica una simultaneità di sensazioni sonore e interiori.

Personificazione: v. 11, v. 18, vv. 7, 15, 23: "cullare del mare", "tremava un sospiro di vento", "veniva una voce dai campi/ sonava lontano il singulto/ e c'era quel pianto di morte". Gli elementi notturni, i rumori e gli schizzi di paesaggio sono resi attraverso riferimenti a qualità tipicamente umane come se il quadro stesso fosse dotato di vita e animato.

Poliptoti: vv. 5-7: "venivano soffi di lampi / veniva una voce dai campi". Costruzione fonica e sintattica che crea un quadro elencando elementi che compaiono nel paesaggio contemporaneamente.

Similitudini: vv. 3-4, v. 14: "ed ergersi il mandorlo e il melo/ parevano a meglio vederla". Il fusto degli alberi e di conseguenza la loro altezza è paragonata al gesto di un uomo che si affaccia per vedere meglio al di là di qualcosa che gli copre la vista, "com'eco d'un grido che fu". La paura provata dal poeta – il battito convulso nel cuore – viene paragonata a quella provata la notte dell'assassinio del padre.

Sinestesia: v. 5: "soffi di lampi". La rapidità dei lampi e la loro luminosità viene resa attraverso l'immagine sonora/tattile del soffio.


Analisi e Commento


Storico-letterario

L'assiuolo fu pubblicato da Giovanni Pascoli nel 1897 su "Il Marzocco", un periodico fiorentino di grande diffusione a cavallo tra XIX e XX secolo, e nello stesso anno incluso nella quarta edizione di Myricae, la prima grande raccolta poetica pubblicata da Pascoli, all'interno della sezione "In campagna".

Il titolo della raccolta è un rimando al verso virgiliano delle Bucoliche «arbusta iuvant humilesque myricae.», ossia, «sono di bell'aspetto gli alberi così come le umili tamerici». Attraverso tale scelta l'autore introduce il tono semplice delle sue composizioni e i temi quotidiani che in esse sono esposti. Le molteplici sfumature della vita agreste sono perciò le problematiche principali di Myricae sebbene, nascoste dietro le immagini rurali, siano presenti le tensioni interiori e autobiografiche che animarono costantemente Giovanni Pascoli e trattazioni simboliche di temi metafisici quali la precarietà dell'esistenza e l'onnipresenza della morte.

L'animale che dà il titolo alla lirica è un piccolo rapace notturno, simile al gufo e alla civetta. Il suo grido (chiù) è associato dalla tradizione popolare alla malinconia funebre e alla morte. Riproducendo in forma onomatopeica il suo lugubre verso Pascoli carica la sua lirica di significati simbolici e onirici, come notano i critici Gioanola e Li Vigni:

Siamo alle soglie dell'alba – un'alba di luna – e il lugubre grido dell'assiuolo, annunciatore di morte nella credenza popolare, agisce probabilmente nella semincoscienza del dormiveglia e suscita una serie di immagini inquietanti, tutte più o meno riferibili alla realtà, ma travolte nella loro essenza e nel loro ordinamento sintattico da un forte vento d'angoscia. E naturalmente i versi, che nascono su un materiale così poco coordinato come quello onirico, svolgono un discorso per elementi staccati, non logicamente dipendente, secondo una sintassi franta, a blocchi giustapposti. L'origine dello stile pascoliano è proprio qui.

Tematico

La poesia è suddivisa in tre strofe all'interno delle quali si verifica un crescendo di pathos e un cambiamento radicale di ciò che è contenuto nel quadro che almeno inizialmente Pascoli ci presenta.

La prima strofa è introdotta infatti da un'interrogativa retorica ("Dov'era la luna?", v.1) che apre su uno scenario naturale immerso nella luce perlacea dell'alba nel quale si stagliano degli alberi da frutto, slanciati verso il cielo come fossero esseri umani affacciati a cercare la luna al di là della nebbiolina biancastra che la offusca. A questa immagine visiva che domina la prima strofa viene associato il primo lamento stridulo dell'assiuolo. Il verso è inizialmente perciò una sorta di gridolino fioco.

Nella seconda strofa la descrizione del paesaggio lattiginoso dell'alba lunare minacciata da un temporale è implementata dall'insistenza sui rumori notturni, riprodotti attraverso l'utilizzo di onomatopee allitteranti ("sentivo un fru fru tra le fratte", v. 12). Attraverso l'utilizzo dell'anafora e del parallelismo (vv. 11-13: "sentivo il cullare del mare, / sentivo un fru fru tra le fratte;/ sentivo nel cuore un sussulto") le sensazioni esteriori sono associate al battito cardiaco aumentato dell'io-poetico, trasmettendo perciò una sensazione di malinconia e paura, alimentato inoltre dalla chiusura della strofa. Il grido dell'assiuolo è diventato un singulto nettamente distinguibile.

L'ultima strofa immette il componimento definitivamente all'interno della sfera del tema della morte. Il verso delle cavallette è infatti paragonato metaforicamente – attraverso una nuova interrogativa retorica – al bussare a "invisibili porte" (v.21) che nessuno può più aprire. Queste porte sono appunto quelle dei sepolcri: il loro non permettere la resurrezione e il ritorno dei cari defunti impedisce lo svelamento del mistero della vita che la loro apertura sarebbe capace di dischiudere. Il verso dell'assiuolo diviene allora – a conclusione del climax portato avanti già nelle prime due strofe – un vero e proprio canto desolato di morte, che lascia solo l'io-poetico in un universo popolato dalla paura e dal dolore. L'assiuolo che piange solitario, per certi versi, è quindi una controfigura del poeta stesso.

Stilistico

La lirica è composta di tre strofe di sette novenari concluse dall'onomatopea onomatopea bisillabica "chiù", in rima con il sesto verso di ogni strofa. Lo schema rimico in rima alternata presenta perciò questa sequenza: ABABCDCD EFEFGDGD HILDLD.

Il fonosimbolismo che impregna la lirica è un procedimento tipico di Giovanni Pascoli. La ricerca di effetti sonori è mirata a implicare significati ulteriori sul piano simbolico. In questa lirica colpisce il frequente ricorso a onomatopee (vv. 8, 16, 24: "chiù..."; v. 12: "fru fru"; v. 20: "finissimi sistri d'argento"; v. 21: "tintinni") e allitterazioni (v. 12: "sentivo un fru fru tra le fratte"; v. 20: i ed s: "finissimi sisstri d'argento"; v. 21: i-n: "tintinni a invisibili porte"). L'onomatopea che chiude in crescendo tutte e tre le strofe ("chiù") altro non è infatti che il fonosimbolo della morte, attraverso il quale il poeta riesce a comunicare, seppure solo attraverso un linguaggio pre-grammaticale (definizione del critico Contini), con il mondo dei morti. Il verso degli uccelli in Pascoli è frequentemente associato alla simbologia della morte e alla comunicazione con l'aldilà.

A livello sintattico, fatta eccezione per l'iperbato dei vv. 3-4 (vv. 8, 16, 24: "chiù..."; v. 12: "fru fru"; v. 20: "finissimi sistri d'argento"; v. 21: "tintinni") che ha funzione di introdurre l'immagine poetica, Pascoli predilige un periodare semplice, paratattico, accentuato da figure di ripetizione sintattica diretta. Il parallelismo dei vv.11-13 ne è un esempio, così come il poliptoto dei vv. 5-7 ("venivano soffi di lampi / veniva una voce dai campi"): si tratta, come si è già accennato, di una scelta ponderata e volontaria, legata al simbolismo dell'ambiente quotidiano e rurale di cui egli tratta in Myricae e alla poetica personale esposta nel saggio Il fanciullino (1897).


Confronti


L'assiuolo è un esempio tipico dello stile poetico pascoliano, secondo gli ideali che egli tratta in Il fanciullino, opera saggistica in cui l'autore rivela il proprio ideale poetico. Il legame tra L'assiuolo e questo saggio, pubblicato nello stesso anno a puntate sul "Marzocco", è diretto: l'onomatopea "tintinni" (v.19) richiama il «tintinnio segreto» di cui Pascoli parla nel Fanciullino. Questo è associato alle motivazioni ultime di far poesia, ossia «esorcizzare la morte, che costituisce il nostro limite, tenere a bada l'angoscia esistenziale, che ci assilla, attraverso quella forma di sopravvivenza, sia pure provvisoria, che è la parola». Compito del poeta è essere come «l'Adamo che mette il nome a tutto ciò che vede e sente», questa capacità lo accomuna a quella del fanciullo – da qui il titolo del saggio – capace di meravigliarsi e stupirsi di tutto ciò che lo circonda.

L'assiuolo è inoltre legato a livello di posizione in Myricae con la lirica immediatamente successiva nella raccolta all'interno della sezione "In campagna", ossia Temporale. Il quadro tardo-notturno dell'Assiuolo è accompagnato da "soffi di lampi / da un nero di nubi laggiù" (vv.5-6) e appunto la lirica seguente si apre con il verso "Un bubbolìo lontano". Pascoli pone dunque una sequenza tra la percezione visiva e uditiva del fenomeno atmosferico del fulmine, che poi ripeterà nella sezione "Tristezze", con le liriche Il lampo e Il tuono, a loro volta associate, per contenuto e forma metrica, a Temporale. Anche il quadro di significati simbolici legati alle liriche può essere associato. Il riferimento generale del trittico Temporale, Il lampo, Il tuono è legato all'assassinio di Ruggero Pascoli, padre del poeta, avvenuto in circostanze misteriose durante la notte del 10 agosto 1867, trent'anni prima della pubblicazione de L'assiuolo. Nello stesso anno (1897) Pascoli dà inoltre alle stampe, aggiungendola a Myricae, X agosto, la poesia in cui egli rievoca la notte dell'omicidio:

13. Anche un uomo tornava al suo nido:
14. l'uccisero: disse: Perdono;
15. e restò negli aperti occhi un grido: [...]

Il grido dell'uomo assassinato nella notte è la stessa "eco d'un grido che fu" del v.14 de L'assiuolo. Alludendo al proprio cuore che batte spaventato dal lugubre scenario notturno descritto nella poesia, Pascoli sta descrivendo e ricordando la paura che egli provò la notte fatale in cui avvenne l'omicidio del padre.

In X agosto è inoltre presente la celebre associazione dell'uomo ucciso con la rondine che muore mentre porta cibo per i suoi piccoli nel nido. Si tratta di un topos pascoliano che vede associati gli uccelli e il loro canto alla simbologia funebre e alla solitudine. Un altro esempio di tale linea simbolica è Il passero solitario, componimento anch'esso contenuto nella sezione "In campagna" di Myricae, in cui Pascoli paragona il canto del passero su una torre solitaria al canto di una monaca reclusa all'interno di un monastero che si espande nel silenzio. Questo componimento altro non è che un rifacimento del Passero solitario di Giacomo Leopardi, il cui tema è l'isolamento del poeta rispetto alle gioie del mondo esterno. Alludendo alla solitudine di questi uccelli Pascoli sta infatti facendo riferimento, come faceva Leopardi, alla propria. Un'altra associazione possibile tra la poesia pascoliana e quella della tradizione italiana è rintracciabile nel carme Dei sepolcri di Ugo Foscolo. Anche il poeta levantino fa ricorso alla tradizione popolare per porre l'elemento dell'uccello che intona il suo verso lugubre in un'atmosfera di morte:

81. e uscir del teschio, ove fuggia la luna,
82. l'úpupa, e svolazzar su per le croci
83. sparse per la funerëa campagna
84. e l'immonda accusar col luttüoso
85. singulto i rai di che son pie le stelle
86. alle obblïate sepolture.

(e vedi venir fuori da un teschio, dove si nascondeva dalla luce della luna, l'upupa, e poi sorvolare croci sparse senza alcun ordine qua e là per la tetra campagna, e senti questo immondo uccello scacciare (accusar, v.84) con il suo funebre verso (luttuoso singulto, v.85) i raggi che le stelle pietose versano sulle sepolture dimenticate.)

In questa sezione del carme Foscolo descrive la musa della satira, Talia, che invano va cercando il suo poeta prediletto, Giuseppe Parini, nelle fosse comuni. Il poeta accusa infatti il comune di Milano di non aver dato al proprio illustre cittadino la sepoltura che meritava. Anche l'ùpupa, come l'assiuolo, è un uccello che la tradizione popolare lega all'atmosfera di morte. La poesia pascoliana coincide nell'utilizzo di una simbologia corrispondente all'aria lugubre e gotica di questo passaggio del lungo carme foscoliano.


Domande e Risposte


In quale raccolta pascoliana compare L'assiuolo?
L'assiuolo compare nella quarta edizione di Myricae (1897).

All'interno di quale sezione della raccolta è inserita?
La lirica fa parte della sezione "In campagna".

Dove fu pubblicata originariamente la lirica?
La lirica comparve per la prima volta sul periodico fiorentino "Il marzocco" nel 1897.

Qual è il tema principale del componimento?
Il tema principale del componimento è un crescendo di paura e pathos accompagnato dal canto funebre dell'uccello durante la notte.

Qual è la forma metrica de L'assiuolo?
L'assiuolo è composto di tre strofe di sette novenari chiuse dall'onomatopea "chiù", in rima con il sesto verso di ogni strofa. Lo schema rimico è ABABCDCD EFEFGDGD HILDLD.

Che animale è l'assiuolo?
L'assiuolo è un rapace notturno, simile al gufo o la civetta, il cui verso è associato nell'immaginario popolare alla litania funebre.

Fonti: libri scolastici superiori

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