Parafrasi e Analisi: "Canto XXVI" - Inferno - Divina Commedia - Dante Alighieri


Immagine Dante Alighieri
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Figure Retoriche
6) Personaggi Principali
7) Analisi ed Interpretazioni
8) Passi Controversi

Scheda dell'Opera


Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.



Introduzione


Il Canto XXVI dell'Inferno di Dante Alighieri rappresenta uno dei momenti più celebri e carichi di significato dell'intera Commedia, in cui il poeta unisce tematiche morali, intellettuali e politiche in una riflessione profonda sulla natura della conoscenza e sui limiti dell'ingegno umano. Ambientato nell'ottava bolgia dell'ottavo cerchio, riservata ai consiglieri fraudolenti, il canto è permeato da un'atmosfera di solenne gravità, arricchita da immagini simboliche e da un linguaggio alto e incisivo.

Dante apre il canto con una dura invettiva contro Firenze, evidenziando il legame tra il degrado morale della sua città e il tema della colpa che attraversa il girone. L'attenzione si concentra poi sul peccato della frode intellettuale, che, pur espressione di un'intelligenza straordinaria, diviene strumento di inganno e corruzione. Qui, la condanna del peccato si intreccia alla celebrazione dell'ingegno umano, creando una tensione dialettica che pervade l'intero episodio.

Il Canto XXVI si distingue per la sua carica simbolica, l'intensità poetica e l'elevato valore allegorico, offrendo al lettore uno spazio di riflessione sui confini tra virtù e peccato, tra ambizione e hybris. In questa cornice, Dante invita a meditare sull'uso responsabile dell'intelletto e sul rapporto tra sapere umano e legge divina, temi centrali nella filosofia e nella teologia medievali.


Testo e Parafrasi


Godi, Fiorenza, poi che se' sì grande
che per mare e per terra batti l'ali,
e per lo 'nferno tuo nome si spande!

Tra li ladron trovai cinque cotali
tuoi cittadini onde mi ven vergogna,
e tu in grande orranza non ne sali.

Ma se presso al mattin del ver si sogna,
tu sentirai, di qua da picciol tempo,
di quel che Prato, non ch'altri, t'agogna.

E se già fosse, non saria per tempo.
Così foss' ei, da che pur esser dee!
ché più mi graverà, com' più m'attempo.

Noi ci partimmo, e su per le scalee
che n'avea fatto iborni a scender pria,
rimontò 'l duca mio e trasse mee;

e proseguendo la solinga via,
tra le schegge e tra ' rocchi de lo scoglio
lo piè sanza la man non si spedia.

Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio
quando drizzo la mente a ciò ch'io vidi,
e più lo 'ngegno affreno ch'i' non soglio,

perché non corra che virtù nol guidi;
sì che, se stella bona o miglior cosa
m'ha dato 'l ben, ch'io stessi nol m'invidi.

Quante 'l villan ch'al poggio si riposa,
nel tempo che colui che 'l mondo schiara
la faccia sua a noi tien meno ascosa,

come la mosca cede a la zanzara,
vede lucciole giù per la vallea,
forse colà dov' e' vendemmia e ara:

di tante fiamme tutta risplendea
l'ottava bolgia, sì com' io m'accorsi
tosto che fui là 've 'l fondo parea.

E qual colui che si vengiò con li orsi
vide 'l carro d'Elia al dipartire,
quando i cavalli al cielo erti levorsi,

che nol potea sì con li occhi seguire,
ch'el vedesse altro che la fiamma sola,
sì come nuvoletta, in sù salire:

tal si move ciascuna per la gola
del fosso, ché nessuna mostra 'l furto,
e ogne fiamma un peccatore invola.

Io stava sovra 'l ponte a veder surto,
sì che s'io non avessi un ronchion preso,
caduto sarei giù sanz' esser urto.

E 'l duca che mi vide tanto atteso,
disse: «Dentro dai fuochi son li spirti;
catun si fascia di quel ch'elli è inceso».

«Maestro mio», rispuos' io, «per udirti
son io più certo; ma già m'era avviso
che così fosse, e già voleva dirti:

chi è 'n quel foco che vien sì diviso
di sopra, che par surger de la pira
dov' Eteòcle col fratel fu miso?».

Rispuose a me: «Là dentro si martira
Ulisse e Dïomede, e così insieme
a la vendetta vanno come a l'ira;

e dentro da la lor fiamma si geme
l'agguato del caval che fé la porta
onde uscì de' Romani il gentil seme.

Piangevisi entro l'arte per che, morta,
Deïdamìa ancor si duol d'Achille,
e del Palladio pena vi si porta».

«S'ei posson dentro da quelle faville
parlar», diss' io, «maestro, assai ten priego
e ripriego, che 'l priego vaglia mille,

che non mi facci de l'attender niego
fin che la fiamma cornuta qua vegna;
vedi che del disio ver' lei mi piego!».

Ed elli a me: «La tua preghiera è degna
di molta loda, e io però l'accetto;
ma fa che la tua lingua si sostegna.

Lascia parlare a me, ch'i' ho concetto
ciò che tu vuoi; ch'ei sarebbero schivi,
perch' e' fuor greci, forse del tuo detto».

Poi che la fiamma fu venuta quivi
dove parve al mio duca tempo e loco,
in questa forma lui parlare audivi:

«O voi che siete due dentro ad un foco,
s'io meritai di voi mentre ch'io vissi,
s'io meritai di voi assai o poco

quando nel mondo li alti versi scrissi,
non vi movete; ma l'un di voi dica
dove, per lui, perduto a morir gissi».

Lo maggior corno de la fiamma antica
cominciò a crollarsi mormorando,
pur come quella cui vento affatica;

indi la cima qua e là menando,
come fosse la lingua che parlasse,
gittò voce di fuori e disse: «Quando

mi diparti' da Circe, che sottrasse
me più d'un anno là presso a Gaeta,
prima che sì Enëa la nomasse,

né dolcezza di figlio, né la pieta
del vecchio padre, né 'l debito amore
lo qual dovea Penelopè far lieta,

vincer potero dentro a me l'ardore
ch'i' ebbi a divenir del mondo esperto
e de li vizi umani e del valore;

ma misi me per l'alto mare aperto
sol con un legno e con quella compagna
picciola da la qual non fui diserto.

L'un lito e l'altro vidi infin la Spagna,
fin nel Morrocco, e l'isola d'i Sardi,
e l'altre che quel mare intorno bagna.

Io e ' compagni eravam vecchi e tardi
quando venimmo a quella foce stretta
dov' Ercule segnò li suoi riguardi

acciò che l'uom più oltre non si metta;
da la man destra mi lasciai Sibilia,
da l'altra già m'avea lasciata Setta.

"O frati", dissi, "che per cento milia
perigli siete giunti a l'occidente,
a questa tanto picciola vigilia

d'i nostri sensi ch'è del rimanente
non vogliate negar l'esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza".

Li miei compagni fec' io sì aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti;

e volta nostra poppa nel mattino,
de' remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino.

Tutte le stelle già de l'altro polo
vedea la notte, e 'l nostro tanto basso,
che non surgëa fuor del marin suolo.

Cinque volte racceso e tante casso
lo lume era di sotto da la luna,
poi che 'ntrati eravam ne l'alto passo,

quando n'apparve una montagna, bruna
per la distanza, e parvemi alta tanto
quanto veduta non avëa alcuna.

Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;
ché de la nova terra un turbo nacque
e percosse del legno il primo canto.

Tre volte il fé girar con tutte l'acque;
a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com' altrui piacque,

infin che 'l mar fu sovra noi richiuso».
Esulta, Firenze, perché sei così magnifica
che [la tua fama] vola sul mare e sulla terra,
e il tuo nome si diffonde all'Inferno!

Nella [bolgia dei] ladri mi imbattei in cinque [anime] di quella specie,
[che furono] tue cittadine, perciò sento vergogna,
e tu per questo non aumenti il tuo onore.

Ma se [è certo che] i sogni [fatti] all'alba sono veritieri,
tu proverai, di qui a poco,
ciò che Prato e le altre città desiderano per te.

E se già [questo] fosse [realtà], sarebbe [comunque] troppo tardi.
E così sia, in quanto è destino che debba avvenire!
Ma più invecchio e più mi peserà.

Noi ci muovemmo, e su per quella scala
che ci aveva fatto impallidire nel discenderla prima,
Virgilio [ricominciò a] salire e mi trascinò;

e percorrendo la via solitaria,
tra le scaglie e le sporgenze della roccia,
i piedi non riuscivano a procedere senza [l'aiuto] delle mani.

A quel punto mi addolorai e [anche] ora soffro,
quando ripenso a ciò che vidi, e,
più [di quanto] non faccia di solito, tengo a freno il mio ingegno,

affinché non avanzi senza la guida della virtù;
di modo che, se [l'influenza degli] astri o la Grazia divina
mi hanno dato la salvezza, non la perda per colpa mia.

Quante lucciole scorge giù nella valle
il contadino che riposa sulla collina nel momento
in cui il Sole tiene a noi più nascosto il suo volto,

nel momento in cui la mosca lascia il posto
alla zanzara, laggiù, forse,
dove coltiva i campi e le vigne:

di altrettanti fuochi tutta era rischiarata
l'ottava bolgia, così come notai
appena arrivai nel punto in cui si distingueva la pianura.

E come colui che si vendicò con gli orsi
vide allontanarsi il carro [che rapì] Elia,
quando i cavalli si alzarono dritti in cielo,

il quale non poteva seguirlo con gli occhi,
poiché non vedeva altro che la fiamma
che, come una minuscola nube, saliva in alto:

così ogni [fiamma] si muove nel fondo della bolgia,
tanto che nessuna mostra [l'anima che] nasconde,
e ogni fuoco rapisce un peccatore.

Io mi trovavo in piedi in cima al ponte,
in modo tale che se non avessi afferrato una sporgenza [della roccia],
sarei caduto giù senza essere urtato.

E Virgilio, che mi notò così intento [a guardare],
disse: «Dentro le fiamme [ci] sono gli spiriti;
ciascuno è vestito del [fuoco] che lo arde».

«Maestro mio», risposi, «ascoltandoti [ora]
ne sono più convinto; ma già mi era parso
che così fosse, e infatti desideravo chiederti:

chi c'è in quella fiamma la cui cima è così divisa,
[tanto] da dare l'impressione di emergere dal rogo
in cui Eteocle fu deposto assieme al fratello?».

Mi rispose: «Lì dentro si puniscono
Ulisse e Diomede, e in questo modo vanno insieme al [giusto] castigo
come [insieme] andarono [contro] l'ira [divina];

e nella loro fiamma viene castigato
l'inganno del cavallo che aprì il varco
da cui scaturì la nobile stirpe dei Romani.

Là dentro si sconta l'inganno per cui, [ora che è] morta,
Deidamia soffre [l'abbandono] di Achille,
e si patisce per la statua di Pallade».

«Se quelli possono parlare dalle fiamme», dissi,
«Virgilio, ti prego tanto e insisto nel pregarti,
che la mia preghiera valga mille [volte],

che tu non mi faccia aspettare [troppo tempo prima]
che la doppia fiamma venga [fin] qui;
vedi che dalla voglia [di parlare] mi protendo [tutto] a lei!».

E Virgilio mi rispose: «La tua preghiera è degna
di molte lodi, e perciò l'accolgo;
ma fai in modo che tu ti astenga dal parlare.

Lascia parlare me, [in quanto] conosco le tue domande;
perché forse essi sarebbero restii,
essendo greci, [nel sentire] la tua parlata».

Dopo che la fiamma arrivò nel punto
in cui alla mia guida sembrò più opportuno,
in questo modo lo si sentì parlare:

«O anime arse insieme da un solo fuoco,
se in vita accumulai meriti [graditi] a voi,
se meritai tanto o poco

quando ancora in vita scrissi l'Eneide,
non muovetevi; ma uno di voi racconti dove,
per sé, si perdette e andò a morire».

La punta più grande di [quel] fuoco antico [di Ulisse]
cominciò a scuotersi bisbigliando,
simile alla fiamma tormentata dal vento;

e, agitando qua e là il pinnacolo,
come se a parlare fosse [questa] lingua,
buttò fuori la voce e disse: «Quando

mi separai da Circe, che mi allettò
per oltre un anno là vicino a Gaeta,
ancor prima che Enea la chiamasse così,

né la tenerezza di [un] figlio, né la pietà
per [un] anziano padre, né l'amore dovuto a Penelope,
[del] quale sarebbe stata lieta,

furono più forti dentro me della passione
che [mi mosse] nell'andare alla scoperta
del mondo e dei vizi e delle virtù umane;

ma mi misi a [navigare] nel profondo mare aperto
con una sola nave e quella esigua compagnia
[di uomini] dalla quale non fui abbandonato.

Vidi la costa europea e la costa africana fino alla Spagna
e al Marocco, e l'isola dei Sardi,
e le altre [isole] che si trovano in quel mare.

I [miei] compagni ed io eravamo anziani e lenti
quando arrivammo a quello stretto
in cui Ercole segnò i suoi confini

affinché l'essere umano non li oltrepassi;
[ma] a destra superai Siviglia,
[e] a sinistra avevo già sorpassato Céuta.

"O [miei] fratelli, dissi, "che per innumerevoli pericoli
siete arrivati [all'estremo] occidente,
[e] a questo così breve periodo

di vita terrena, a ciò che [ci] rimane [da vivere],
non vogliate, seguendo il sole,
impedirvi l'esperienza del mondo inesplorato.

Prendete coscienza della vostra condizione [di uomini]:
non foste creati per vivere come selvaggi,
ma per accrescere [le vostre] virtù e [il vostro] sapere".

Con questo breve discorso resi i miei compagni
così desiderosi dell'impresa,
che a malapena poi li avrei potuti far desistere;

e, volgendo la nostra poppa a levante,
coi remi ci spingemmo verso l'insano volo,
andando sempre verso sud-ovest.

La notte mostrava già tutte le stelle
dell'altro emisfero, e il nostro era talmente basso
che non emergeva più dal mare.

Dal principio dell'ardua impresa,
cinque volte si era acceso e altrettante [volte]
si era oscurato l'emisfero della luna,

quando [all'orizzonte] comparve una montagna
oscura per la lontananza, e mi sembrò tanto alta
quanto non ne avevo mai vista alcuna.

Noi ci rallegrammo, ma presto [l'allegria] si convertì in pianto;
poiché dal nuovo mondo si alzò un turbine
[tale] che guastò la prua della nave.

Tre volte la fece ruotare tra le acque;
[e] alla quarta, la poppa si alzò verso il cielo
e la prua si inabissò, come Dio aveva stabilito,

finché il mare non si richiuse sopra di noi».



Riassunto


Versi 1-12
Il canto si apre con una dura invettiva di Dante contro Firenze. Nella settima Bolgia, dove vengono puniti i ladri, il poeta ha incontrato ben cinque anime di fiorentini. Questo incontro diventa occasione per Dante di anticipare un oscuro presagio sul futuro della sua città natale.

Versi 13-75
Ripreso il cammino, Dante e Virgilio si trovano di fronte a uno spettacolo che turba profondamente il poeta. Il fondo oscuro dell'ottava Bolgia è rischiarato da piccole fiammelle: sono le anime dei consiglieri fraudolenti, avvolte in lingue di fuoco. Tra tutte, spicca una fiamma biforcuta, al cui interno si trovano le anime di Ulisse e Diomede, eroi greci colpevoli di numerosi inganni. Dante, colpito dalla visione, chiede a Virgilio di avvicinarsi e interloquire con loro. La guida acconsente, ma decide di essere lui a parlare.

Versi 76-102
La fiamma biforcuta si avvicina, e Virgilio si rivolge a una delle anime chiedendo di raccontare la propria morte. È Ulisse a prendere la parola: narra che, dopo essersi liberato dalla prigionia della maga Circe, decise di partire per un'ultima avventura, lasciandosi alle spalle gli affetti e spinto dall'incontenibile desiderio di conoscenza. Con lui, un gruppo di compagni fedeli.

Versi 103-142
Ulisse e i suoi compagni navigarono verso ovest, attraversando il Mediterraneo fino a raggiungere lo stretto di Gibilterra, le mitiche Colonne d'Ercole. Qui, il grande eroe incitò i suoi uomini con un discorso ispirato, convincendoli a superare quel limite per esplorare l'ignoto. Proseguirono verso sud, fino a scorgere la montagna del Purgatorio. Tuttavia, una tempesta improvvisa si abbatté su di loro, facendo girare la nave tre volte prima di inabissarla, ponendo così fine al loro viaggio.


Figure Retoriche


v. 1: "Godi, Fiorenza": Apostrofe.
v. 2: "Batti le ali": Analogia.
v. 7: "Del ver si sogna": Anastrofe.
v. 18: "Lo piè sanza la man non si spedia": Iperbato.
v. 22: "Virtù nol guidi": Anastrofe.
v. 23: "O miglior cosa": Perifrasi.
vv. 25-33: "Quante 'l villan ch'al poggio si riposa, nel tempo che colui che 'l mondo schiara la faccia sua a noi tien meno ascosa, come la mosca cede alla zanzara, vede lucciole giù per la vallea, forse colà dov'e' vendemmia e ara: di tante fiamme tutta risplendea l'ottava bolgia, sì com'io m'accorsi tosto che fui là 've 'l fondo parea": Similitudine.
vv. 26-27: "Nel tempo che colui che 'l mondo schiara la faccia": Perifrasi. Per indicare l'estate.
v. 28: "Mosca...zanzara": Sineddoche. Il singolare per il plurale.
v. 34: "Colui che si vengiò con li orsi": Perifrasi. Per indicare Eliseo.
vv. 34-42: "E qual colui che si vengiò con li orsi vide 'l carro d'Elia al dipartire, quando i cavalli al cielo erti levorsi, che nol potea sì con li occhi seguire, ch'el vedesse altro che la fiamma sola, sì come nuvoletta, in sù salire: tal si move ciascuna per la gola del fosso": Similitudine.
v. 45: "Caduto sarei": Anastrofe.
v. 51: "Che così fosse": Anastrofe.
v. 69: "Vedi che del disio ver' lei mi piego": Anastrofe.
vv. 80-81: "S'io meritai di voi": Anafora.
v. 97: "Vincer potero": Anastrofe.
v. 98: "Del mondo esperto": Anastrofe.
v. 100: "Ma misi me": Anastrofe.
v. 101: "Con un legno": Sineddoche. La parte per il tutto, il legno invece che la nave.
vv. 101-102: "Compagna / picciola": Enjambement.
v. 104: "L'isola d'i Sardi": Metonimia. Gli abitanti invece del luogo, la Sardegna.
v. 106: "Vecchi e tardi": Endiadi.
vv. 114-115: "A questa tanto picciola vigilia / d'i nostri sensi ch'è del rimanente": Perifrasi. Per indicare la poca vita rimasta.
v. 116: "Non vogliate negar": Litote.
v. 119: "Viver come bruti": Similitudine.
v. 125: "De' remi facemmo ali al folle volo": Metafora.
vv. 133-135: "Apparve una montagna, bruna per la distanza, e parvemi alta tanto quanto veduta non avea alcuna": Perifrasi. Per indicare la montagna del purgatorio.
v. 136: "Allegrammo...pianto": Antitesi.
v. 136: "Tosto tornò in pianto": Allitterazione della t.
v. 137: "Un turbo nacque": Anastrofe.
v. 138: "Del legno": Sineddoche. La parte per il tutto, il legno invece che la nave.
v. 138: "Del legno il primo canto": Anastrofe.
v. 141: "Com'altrui piacque": Perifrasi.
v. 127: "De l'altro polo vedea la notte": Anastrofe.


Personaggi Principali


Ulisse nel XXVI Canto dell'Inferno di Dante
Ulisse è il vero protagonista del XXVI Canto dell'Inferno, occupando la scena con un lungo monologo di ben 52 versi in cui narra l'ultimo viaggio della sua vita. Figlio di Laerte e Anticlea, l'eroe acheo è una figura centrale della mitologia classica e, in particolare, dei poemi omerici. Nell'Odissea, Ulisse incarna l'astuto protagonista del viaggio di ritorno a Itaca dopo la guerra di Troia, dimostrando abilità da guerriero, grande esperienza nella navigazione e un'intelligenza straordinaria, spesso messa al servizio di inganni ingegnosi. Questa figura complessa ha ispirato opere latine e medievali, andando ben oltre la tradizione omerica.

Il Peccato di Ulisse: Oltrepassare i Limiti del Sapere
Nel canto dantesco, Ulisse non rappresenta solo l'astuzia e l'inganno, ma diventa il simbolo dell'uomo che dedica la propria esistenza alla ricerca della conoscenza. Tuttavia, questa ricerca si scontra con i limiti imposti al sapere umano. Il suo desiderio di superare tali confini – rappresentati dalle Colonne d'Ercole, tradizionalmente collocate a Gibilterra – è la causa della sua rovina. Il folle volo di Ulisse, condotto al di fuori della Grazia divina, porta inevitabilmente al fallimento e alla morte, in un naufragio simbolico davanti al monte del Purgatorio. La sua audacia, fondata esclusivamente sulla ragione umana, si dimostra insufficiente senza il sostegno della fede e dell'obbedienza a Dio.

Sintesi Narrativa del XXVI Canto
Invettiva contro Firenze (versi 1-12): Il canto si apre con un'amara critica di Dante alla sua città natale, Firenze, colpevole di aver generato numerosi ladri, le cui anime sono punite nella settima Bolgia.

L'incontro con Ulisse e Diomede (versi 13-75): Proseguendo il cammino, Dante e Virgilio giungono all'ottava Bolgia, dove incontrano le anime dei consiglieri fraudolenti, avvolte in lingue di fuoco. Tra queste, una fiammella biforcuta contiene Ulisse e Diomede, puniti per le loro ingannevoli imprese. Virgilio, su richiesta di Dante, si avvicina per dialogare con loro.

Ulisse narra la sua storia (versi 76-142): Rispondendo alle domande di Virgilio, Ulisse racconta come, dopo essersi liberato dalla maga Circe, non si lasciò fermare dagli affetti familiari e decise di intraprendere un viaggio verso l'ignoto. Insieme ai suoi compagni, superò lo stretto di Gibilterra, varcando il confine delle Colonne d'Ercole, simbolo del limite umano. Spinti dalla sua oratoria, si avventurarono fino alla montagna del Purgatorio, dove una tempesta li travolse, affondando la loro nave e ponendo fine al loro viaggio.

Ulisse, nel canto dantesco, è una figura tragica e universale, che incarna la tensione tra il desiderio di conoscenza e i limiti imposti dalla condizione umana.


Analisi ed Interpretazioni


Il peccato di Ulisse: la frode dell'ingegno e il limite della conoscenza
Nel XXVI Canto dell'Inferno, Dante introduce la categoria dei consiglieri fraudolenti, ossia coloro che hanno utilizzato la propria intelligenza per ingannare, anziché metterla al servizio del bene e della virtù cristiana. Questo peccato, strettamente legato all'intelletto, distingue questi dannati dagli altri, che appaiono spesso più simili a bestie. Nonostante la gravità della colpa, il poeta mostra verso di loro un atteggiamento diverso, quasi di rispetto, soprattutto nei confronti di Ulisse, protagonista assoluto del canto.

Una punizione simbolica e un'atmosfera unica
A differenza di altre bolge infernali, quella dei consiglieri fraudolenti si caratterizza per un'atmosfera meno crudele e opprimente. Le anime sono avvolte in lingue di fuoco, una pena meno raccapricciante rispetto ad altre descritte da Dante. Questa punizione segue la legge del contrappasso: così come in vita hanno usato la lingua per ingannare, ora il fuoco le ha trasformate in lingue ardenti. L'ambientazione, priva di grida e sofferenze atroci, appare serena e quasi contemplativa, ideale per accogliere il racconto di Ulisse. Tuttavia, questa compostezza non attenua la gravità della loro colpa, collocata comunque tra le più basse dell'Inferno.

Il mito di Ulisse rielaborato da Dante
Ulisse, figura simbolo della sete di conoscenza, viene descritto da Dante attraverso una narrazione che si discosta dal racconto omerico. Nell'Odissea, l'eroe ritorna ad Itaca e ritrova la sua famiglia, ma Dante non conosceva direttamente il testo greco e probabilmente si è ispirato a fonti latine, come Ovidio e Seneca, che menzionano un destino diverso per l'eroe, segnato dalla morte in mare. Nel mito dantesco, Ulisse intraprende un ultimo viaggio verso l'ignoto, spinto dalla volontà di oltrepassare i limiti imposti alla conoscenza umana. Tuttavia, la sua presunzione di sfidare il divino lo condanna a un "folle volo", culminato nel naufragio presso la montagna del Purgatorio.

Un eroe della curiosità o simbolo della superbia intellettuale?
L'Ulisse di Dante è il paradigma di un'intelligenza ribelle, che osa esplorare oltre i confini del possibile senza il sostegno della grazia divina. La celebre esortazione dell'eroe ai compagni – «seguire virtute e canoscenza» – non è un invito alla virtù, ma una manifestazione della sua folle ambizione. Per Dante, l'eroe non è un modello positivo, ma un esempio di superbia intellettuale, colui che ha trasceso i limiti dell'umano confidando esclusivamente nella propria ragione. La sua condanna simboleggia l'ammonimento rivolto all'uomo medievale: cercare la conoscenza senza il rispetto dei limiti divini conduce alla perdizione.

Un parallelismo con Dante stesso
Dante si mostra profondamente coinvolto nel tema trattato, quasi a voler riflettere sul proprio vissuto. Come Ulisse, anche lui aveva rischiato di smarrirsi in un "folle volo" intellettuale, lontano dalla guida della fede. Dopo la morte di Beatrice, il poeta si era dedicato agli studi filosofici, allontanandosi dai valori spirituali, un'esperienza che probabilmente ha ispirato il suo traviamento nella "selva oscura". La figura di Ulisse, quindi, non è solo una condanna morale, ma anche un monito personale per Dante stesso, che nella Divina Commedia ritrova il cammino della salvezza attraverso la grazia divina.

Una lezione per l'uomo medievale
Il canto si chiude con un ammonimento severo: il naufragio di Ulisse – «infin che 'l mar fu sovra noi richiuso» – rappresenta una lapide simbolica sulla presunzione dell'uomo che tenta di oltrepassare i limiti imposti dalla volontà divina. Per Dante, la conoscenza umana deve essere perseguita con umiltà e sotto la guida della fede, altrimenti rischia di trasformarsi in una condanna. Ulisse non è dunque l'eroe della conoscenza, ma l'esempio negativo di chi, con l'uso distorto dell'intelletto, conduce se stesso e gli altri alla rovina.


Passi Controversi


Nel verso 7 si fa riferimento a una credenza medievale, già documentata in epoca classica, secondo cui i sogni fatti nelle prime ore del mattino sarebbero stati premonitori di eventi futuri.

L'espressione del verso 12 (ché più mi graverà, com' più m'attempo) potrebbe significare che il castigo di Firenze sarà più pesante per il poeta con il passare degli anni e l'invecchiamento, ma secondo altre interpretazioni, la gravità del castigo aumenterebbe in relazione al ritardo con cui giunge.

Alcuni manoscritti riportano nel verso 14 i borni (interpretabili come "schegge di pietra"), facendo riferimento agli spuntoni che avrebbero aiutato i poeti a scendere. Tuttavia, il significato più plausibile è che la discesa li abbia resi pallidi (iborni, derivato dal latino eburneus, "d'avorio").

Il personaggio che si vendicò con l'aiuto degli orsi (v. 34) è il profeta Eliseo. Egli, deriso da alcuni ragazzi per la sua calvizie, invocò una maledizione divina: due orsi uscirono dal bosco e uccisero quarantadue giovani (IV Re, II, 11-12).

Eteocle e Polinice (v. 54), figli di Edipo e Giocasta, sono i fratelli tebani che si odiavano al punto da uccidersi a vicenda. Dal rogo funebre comune si sprigionò una fiamma divisa in due, simbolo del loro eterno conflitto.

Il promontorio di Gaeta (v. 92), secondo la leggenda, prende il nome dalla nutrice di Enea, Caieta, che vi sarebbe morta.

I versi 106-108 si riferiscono alle Colonne d'Ercole, le montagne di Calpe (in Europa) e Abila (in Africa), poste ai lati dello Stretto di Gibilterra. Qui, secondo la leggenda, Ercole lasciò l'ammonimento non plus ultra ("non andare oltre").

Il verso 126 specifica che la nave di Ulisse seguì sempre una rotta sud-ovest, virando verso sinistra.

L'espressione lo lume... di sotto da la luna si riferisce all'emisfero lunare visibile dalla Terra; si indicano cinque lunazioni, ossia cinque mesi trascorsi.

Infine, il verso 139 richiama un passaggio dell'Eneide (I, 116-117): per tre volte un'onda fece girare la nave in tondo, finché un vortice rapido la inghiottì nel mare.

Fonti: libri scolastici superiori

Ultimi Articoli:

avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto XXI di dante alighieri 26-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto XX di dante alighieri 24-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto XIX di dante alighieri 24-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto XVIII di dante alighieri 24-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto XVII di dante alighieri 23-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto XVI di dante alighieri 23-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto XV di dante alighieri 23-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto XIV di dante alighieri 22-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto XIII di dante alighieri 21-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto XII di dante alighieri 20-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto XI di dante alighieri 19-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto X di dante alighieri 17-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto IX di dante alighieri 17-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto VIII di dante alighieri 16-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto VII di dante alighieri 16-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto VI di dante alighieri 14-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto V di dante alighieri 13-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto IV di dante alighieri 12-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto III di dante alighieri 10-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto II di dante alighieri 10-11-2024

Commenti:


Commenti Verificati Tutti i Commenti