Parafrasi, Analisi e Commento di: "Nebbia" di Giovanni Pascoli
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi puntuale
4) Parafrasi discorsiva
5) Figure Retoriche
6) Analisi e Commento
7) Confronti
8) Domande e Risposte
Scheda dell'Opera
Autore: Giovanni Pascoli
Titolo dell'Opera: Canti di Castelvecchio
Prima edizione dell'opera: 1903 (la poesia, però, era già stata pubblicata nel 1899 sulla rivista "Flegrea")
Genere: Poesia lirica
Forma metrica: 5 strofe di 6 versi ciascuna: 3 novenari + 1 ternario + 1 novenario + 1 senario. Rime: ABCBCA. Tutti i senari rimano tra loro.
Introduzione
"Nebbia" è una poesia scritta da Giovanni Pascoli, inclusa nella raccolta Canti di Castelvecchio (1903). In questo componimento, il poeta esprime un sentimento di angoscia e di smarrimento attraverso l'immagine della nebbia, che avvolge e nasconde il paesaggio. La nebbia diventa simbolo dell'incertezza esistenziale, del dolore e del distacco dal mondo, temi centrali nella poetica pascoliana. Il linguaggio semplice e immediato, tipico dello stile del poeta, si unisce a una forte carica emotiva che rende la poesia particolarmente intensa e suggestiva.
Testo e Parafrasi puntuale
1. Nascondi le cose lontane, 2. tu nebbia impalpabile e scialba, 3. tu fumo che ancora rampolli, 4. su l'alba, 5. da' lampi notturni e da' crolli, 6. d'aeree frane! 7. Nascondi le cose lontane, 8. nascondimi quello ch'è morto! 9. Ch'io veda soltanto la siepe 10. dell'orto, 11. la mura ch' ha piene le crepe 12. di valerïane. 13. Nascondi le cose lontane: 14. le cose son ebbre di pianto! 15. Ch'io veda i due peschi, i due meli, 16. soltanto, 17. che dànno i soavi lor mieli 18. pel nero mio pane. 19. Nascondi le cose lontane 20. Che vogliono ch'ami e che vada! 21. Ch'io veda là solo quel bianco 22. di strada, 23. che un giorno ho da fare tra stanco 24. don don di campane... 25. Nascondi le cose lontane, 26. nascondile, involale al volo 27. del cuore! Ch'io veda il cipresso 28. là, solo, 29. qui, solo quest'orto, cui presso 30. sonnecchia il mio cane. |
1. Nascondi con il tuo velo le cose lontane (nel tempo e dal mondo) 2. tu, nebbia leggerissima e dal colore pallido e lattiginoso, 3. e anche tu, fumo che ancora ti sollevi in aria 4. sul far dell'alba 5. dopo i lampi notturni e il fragore 6. di frane nell'aria (=i tuoni)! 7. Nascondi con il tuo velo le cose lontane (nel tempo e dal mondo), 8. devi nascondere alla mia vista quello che è morto! 9. In modo tale che io non veda altro che la siepe 10. dell'orto, 11. il suo muro di cinta, nelle cui crepe crescono fino a riempirle 12. le piante di valeriana. 13. Nascondi con il tuo velo le cose lontane (nel tempo e dal mondo): 14. queste cose sono piene di dolore e lacrime! 15. In modo tale che io veda le due piante di pesco e di melo, 16. soltanto, 17. che producono i loro dolci frutti, 18. con i quali consolo le sofferenze della mia vita disperata (il pane nero). 19. Nascondi con il tuo velo le cose lontane (nel tempo e dal mondo) 20. che vogliono che io riesca ad amare ed esca per il mondo! 21. In modo tale che io veda solo quella bianca 22. strada di selciato (che conduce al cimitero), 23. che nel giorno del mio funerale dovrò percorrere mentre intorno stancamente 24. rintoccheranno le campane funebri... 25. Nascondi con il tuo velo le cose lontane (nel tempo e dal mondo) 26. nascondile, portale lontano ai desideri ("voli") 27. del cuore! In modo tale che io veda il cipresso 28. laggiù, solitario, 29. solo questo orto, vicino al quale 30. dormicchia il mio cane. |
Parafrasi discorsiva
Nascondi con il tuo velo le cose lontane (nel tempo e dal mondo). Tu, nebbia leggerissima e dal colore pallido e lattiginoso, e anche tu, fumo che ancora ti sollevi in aria sul far dell'alba dopo i lampi notturni e il fragore di frane nell'aria (=i tuoni)!
Nascondi con il tuo velo le cose lontane (nel tempo e dal mondo), devi nascondere alla mia vista quello che è morto! In modo tale che io non veda altro che la siepe dell'orto, il suo muro di cinta, nelle cui crepe crescono fino a riempirle le piante di valeriana.
Nascondi con il tuo velo le cose lontane (nel tempo e dal mondo): queste cose sono piene di dolore e lacrime! In modo tale che io veda le due piante di pesco e di melo, soltanto, che producono i loro dolci frutti, con i quali consolo le sofferenze della mia vita disperata (il pane nero).
Nascondi con il tuo velo le cose lontane (nel tempo e dal mondo) che vogliono che io riesca ad amare ed esca per il mondo! In modo tale che io veda solo quella bianca strada di selciato (che conduce al cimitero), che nel giorno del mio funerale dovrò percorrere mentre intorno stancamente rintoccheranno le campane funebri...
Nascondi con il tuo velo le cose lontane (nel tempo e dal mondo), nascondile, portale lontano ai desideri ("voli") del cuore! In modo tale che io veda il cipresso laggiù, solitario, solo questo orto, vicino al quale dormicchia il mio cane.
Figure Retoriche
Allitterazioni: v. 2, vv. 5-6, v. 26: Della "p", "b": "nebbia impalpabile e scialba". Della "r": "crolli / d'aeree frane". Della "l": "involale al volo". Il poeta costruisce il quadro su cui si basa l'analogia del componimento insistendo fonicamente sui simboli a cui fa riferimento, riproducendo anche i suoni da essi prodotti.
Anafore: vv. 2-3, vv. 9, 15, 21, 26: "tu", "ch'io veda", "nascondimi ... nascondile" (con lieve variatio, v. 8 e 26). La ripetizione delle parole crea enfasi intorno alle richieste, o preghiere, che il poeta rivolge alla nebbia.
Antitesi: v. 11: "piene le crepe". L'immagine pone il relazione il vuoto delle crepe e il pieno delle piante che le riempiono.
Apostrofi: v. 2, v. 3: "tu, nebbia impalpabile e scialba", "tu fumo". Il componimento è formalmente rivolto alla nebbia e al fumo che si alzano all'alba dopo il temporale notturno.
Endiadi: v. 2, vv. 5-6: "impalpabile e scialba". La nebbia è descritta secondo i suoi attributi di consistenza e colore, "da' lampi notturni, e da' crolli, / d'aeree frane.". Il temporale notturno è richiamato attraverso la classica coppia formata da lampi e tuoni.
Epifore: (in apertura di ogni strofa) "Nascondi le cose lontane,": il verso, rivolto alla nebbia, apre ogni strofa e crea enfasi sulla richiesta che il poeta le pone.
Epifrasi: v. 14: "le cose son ebbre di pianto!". La frase riassume ed enuncia il senso e il perché della preghiera del poeta alla nebbia, alla quale chiede di nascondere il suo passato doloroso.
Enjambements: vv. 5-6, vv. 9-10, vv. 11-12, vv. 21-22, vv. 23-24, vv. 26-27: "crolli / d'aeree frane", "la siepe / dell'orto", "le crepe / di valeriane", "bianco / di strada", "stanco / don don di campane", "volo / del cuore". La figura spezza il ritmo poetico e crea enfasi sui luoghi emotivamente forti del testo.
Figura etimologica: v. 26, vv. 28-29: "involale al volo". Gioco sul significato di involare (sottrarre al volo, scippare, rubare), "solo". La parola ripetuta è riferita prima al cipresso solitario (come aggettivo) e poi utilizzata come avverbio per indicare il solo orto che appare alla vista del poeta.
Litote: v. 9: "Ch'io veda soltanto la siepe". La scena invocata dalla poesia è chiamata in causa attraverso i vari elementi del paesaggio che emergono uno a uno dalla nebbia.
Metafore: vv. 5-6, v. 14, v. 18: "crolli / d'aree frane". Il rumore dei tuoni è paragonato a quello di una frana che però si verifica nel cielo, "ebbre di pianto". Le cose passate some come ubriacate dalle lacrime bevute, "pel nero mio pane". Il dolore della vita è paragonato a un pezzo di pane di cui il poeta si è sempre nutrito.
Ossimori: v. 6: "d'aree frane". La frana, associata alla terra, viene collocata nell'aria del cielo per indicare il tuono.
Onomatopea: v. 24: "don don". La figura riproduce il rumore lugubre delle campane che accompagnano il feretro nei funerali.
Paronomasia: vv. 15, 17: "meli ... mieli". La parola indica l'albero e poi vi associa, variando leggermente il suono, i frutti da esso prodotti.
Perifrasi: v. 8, vv. 19-20: "quello ch'è morto!", "le cose lontane / che vogliono ch'ami e che vada". Le cose lontane, cioè i ricordi ma anche i dolori passati o i lutti della vita, sono indicate come entità che parlano al poeta dall'aldilà.
Personificazione: v. 2, v. 3, vv. 23-24: "tu, nebbia", "tu fumo". Nebbia e fumo sono rappresentati come entità in carne e ossa, "stanco / don don di campane". La sensazione corporea di stanchezza si trova collocata in forma inorganica, associata al suono delle campane.
Sineddoche: vv. 21-22: "bianco / di strada". Il materiale della strada (probabilmente di breccia o selciato) è invocato attraverso il suo colore.
Analisi e Commento
Storico-letterario
La lirica Nebbia fu pubblicata per la prima volta da Giovanni Pascoli nel 1899, sulla rivista Flegrea, per essere inserita successivamente nella seconda grande raccolta pascoliana, I canti di Castelvecchio (1903).
La raccolta fu concepita dal poeta come continuazione della precedente Myricae (1891), grazie alla quale egli era entrato a far parte della scena maggiore della poesia italiana. Secondo la poetica espressa nel saggio Il fanciullino (1897), la poesia pascoliana utilizza elementi quotidiani tratti spesso dal paesaggio naturale che evocano sensazioni intime e personali. Nel caso di Pascoli, la cui esistenza fu scossa da lutti, privazioni e solitudine, le analogie simboliche richiamano costantemente temi autobiografici legati all'eros mancato e alla morte. Nei Canti di Castelvecchio i componimenti sono disposti secondo un ordine che evoca quello naturale delle stagioni e, per analogia appunto, il trascorrere del tempo vitale. Giacomo Leopardi, poeta modello e allo stesso tempo odiato da Pascoli, fornisce l'ispirazione del titolo (I canti è appunto quello della raccolta maggiore di Leopardi) che però è associata al comune di Castelvecchio Pascoli (in Toscana, ha assunto proprio da questa raccolta il nome del poeta), paese in cui l'autore trascorse diversi momenti della sua vita e dove compose la raccolta all'interno della Villa Cardosi-Carrara da lui acquistata.
La scena letteralmente descritta da Nebbia è ambientata all'alba dopo una notte di tempesta. È in quel momento che il poeta si rivolge come in una preghiera all'elemento atmosferico perché si ponga di fronte ai suoi occhi e gli impedisca di vedere il paesaggio, lasciandolo così solo nell'orto in cui egli sembra riuscire per un momento a trovare scampo dai dolori del passato che lo attanagliano.
Tematico
Dopo l'apertura del componimento "Nascondi le cose lontane", verso che si ripete in epifora all'inizio di ogni strofa, Pascoli si rivolge attraverso un'apostrofe alla nebbia personificata e al fumo rivolgendo loro una preghiera o un appello disperato. Egli desidera che "le cose lontane" siano nascoste dal velo "impalpabile e scialbo" perché provocano solo pianto e dolore. Esse sono lontane tanto nel tempo (le cose passate) quanto nello spazio: le cose lontane nel paesaggio, ma anche lontane dal mondo terreno, cioè nell'aldilà, come viene indicato al v. 8. (nascondimi quello ch'è morto!).
La nebbia è un elemento che compare in diversi componimenti pascoliani senza essere mai descritta come qualcosa di inorganico (come accade, ad esempio, in San Martino di Carducci), bensì viene sempre personificata e dotata di riferimenti di significato simbolici. Essa è una sorta di muraglia che il poeta pone tra sé e il mondo, così da essere protetto dall'oscurità della notte (che in Pascoli simboleggia spesso il male e la violenza). Le poche e umili cose rassicuranti per il poeta sono infatti quelle che appartengono al "nido", ossia l'insieme degli affetti familiari come la casa, il giardino, le piante e il cane che emergono volta per volta dalla nebbia in questo componimento. La vita è per Pascoli qualcosa di minaccioso e oscuro, mentre la morte rappresenta l'ignoto da temere che però ha una sua profonda attrattiva e fascino come liberazione dai mali.
L'atmosfera della lirica è intima e pregna di pathos, densa di esclamazioni e giudizi sulla vita (si pensi all'epifrasi del v. 14 "le cose son ebbre di pianto!"). Il poeta confessa le proprie contraddizioni emotive: il verso "che vogliono ch'ami e che vada" evoca il richiamo del mondo esterno nel quale "le cose lontane" lo spingono a cercare una ragionevole consolazione ma che resta per lui impossibile da raggiungere data la rassegnazione e il dolore che continua a provare. Il critico Gianfranco Contini ritiene perciò che in Nebbia possa essere rintracciata "un'allegoria generale del mondo poetico pascoliano", poiché in essa si intrecciano appunto tutte le incrinature emotive a cui il poeta diede voce nella sua produzione, che ne fanno non un sistema coerente di ragionamenti ma piuttosto il diario intimo di un'anima sensibile e tormentata.
Stilistico
Nebbia è composta di 5 strofe di 6 versi ciascuna (3 novenari + 1 ternario + 1 novenario + 1 senario) disposti secondo lo schema rimico ABCBCA in cui tutti i senari rimano tra loro.
Nelle scelte lessicali di Nebbia è possibile rintracciare svariati elementi tipici del Simbolismo decadente pascoliano, in cui vengono fusi, attraverso la figura dell'analogia, i livelli di lettura letterale e simbolico. Nel componimento sono rintracciabili ad esempio la "valeriana" pianta dagli effetti soporiferi e perciò simbolo del sonno e dell'oblio, la siepe e il muro dell'orto come forme, ostacoli che creano protezione dal mondo esterno; il cipresso è evidentemente immagine della morte essendo l'albero che di solito orna i cimiteri; il cane addormentato rappresenta la fedeltà e gli affetti domestici; la metafora "aeree frane" per indicare il tuono è molto forte e rimanda ad apocalissi cosmiche. La fusione di termini quotidiani con vocaboli aulici, quasi danteschi, crea un'atmosfera che sfocia in un quadro ovattato al di là della realtà percettibile e dalla natura fortemente evocativa.
A livello strutturale, inoltre, il poeta insiste molto su figure di ripetizione come l'anafora ("tu" (vv. 2-3); "ch'io veda" (vv. 9, 15, 21, 26); "nascondimi ... nascondile" (con lieve variatio, v. 8 e 2), l'epifora ("Nascondi le cose lontane,"), la figura etimologica ("involale al volo" (v. 26): vv. 28-29 "solo") o la paronomasia ("meli ... mieli" (vv. 15, 17). Questa scelta contribuisce a creare pathos intorno ai simboli descritti dal poeta e, insieme all'utilizzo di frequenti enjambements, onomatopee e allitterazioni, conferire un ritmo cantilenante al componimento. L'insieme di questi elementi retorici riesce dunque a comporre sia la descrizione di un quadro vero e proprio (il paesaggio mattutino nebbioso dopo il temporale) sia l'espressione dell'intimità combattuta tra vita e morte, paura e voglia di vivere, che consuma l'interiorità del poeta.
Confronti
Nebbia contiene moltissimi riferimenti tanto ai motivi tipici del resto della produzione pascoliana quanto alla poesia italiana precedente o pressoché contemporanea all'autore. All'interno di Myricae, ad esempio, è presente il trittico di poesie Temporale, Il lampo, Il tuono che descrivono una tenebrosa bufera che ha luogo "nella notte nera come il nulla", in cui "a un tratto, col fragor d'arduo dirupo / che frana, il tuono rimbombò di schianto" (Il tuono). Vediamo riproposte le esatte metafore del nostro componimento, come se si stesse descrivendo la scena appena precedente a quella dell'alba poi evocata. Il tuono (e il temporale), simbolo dei dolori e dei lutti della vita del poeta, sono collocati nella notte, così come la metafora dell'"aerea frana" attraverso la quale viene rappresentato il rumore fragoroso del tuono è ripetuta con lo stesso significato nei due componimenti.
Nei Canti di Castelvecchio, invece, è presente il componimento La mia sera, in cui la sequenza notte/giorno è ribaltata:
1. Il giorno fu pieno di lampi;
2. ma ora verranno le stelle,
3. le tacite stelle. Nei campi
4. c'è un breve gre gre di ranelle.
5. Le tremule foglie dei pioppi
6. trascorre una gioia leggiera.
7. Nel giorno, che lampi! che scoppi!
8. Che pace, la sera!
La lirica, che racconta della serenità ritrovata dal poeta in vecchiaia (simboleggiata appunto dalla sera), colloca il temporale durante il giorno e prende il calare del sole e il crepuscolo come momento in cui i dolori vanno via e il poeta si abbandona alla placidità e l'attesa tranquilla della morte. Registriamo perciò un'evoluzione del pensiero pascoliano tra le due raccolte, per cui nonostante i dolori fortissimi provati dal poeta, si intravede una sorta di lieto fine e riposo dagli affanni terreni.
Altri elementi evocano invece un filone letterario che parte da Leopardi e sfocia nella letteratura appena successiva alla produzione pascoliana. Il poeta chiede alla nebbia di concedergli di vedere solo "la siepe" e "l'orto" in cui sonnecchia il cane. Ne L'infinito, celebre lirica leopardiana, è appunto la siepe che corona il colle su cui Leopardi si reca a impedirgli di vedere il panorama e dunque permettergli di viaggiare nell'infinito mondo dell'immaginazione che lo consola dai dolori dell'esistenza. In Meriggiare pallido e assorto, Eugenio Montale rielabora il concetto legato alla siepe leopardiana sostituendola con un "rovente muro d'orto", che è appunto l'ostacolo che si frappone alla vista del poeta e gli nasconde il mare (simbolicamente la verità dell'esistenza). Si tratta di nuovo di qualcosa che nasconde qualcosa che è al di là di ciò che è percettibile (come la stessa nebbia a cui Pascoli chiede di nascondere le cose lontane) e che allo stesso tempo protegge e mantiene nel mondo terreno.
Domande e Risposte
Qual è il tema principale del componimento?
Il tema principale del componimento è il desiderio di oblio che il poeta chiede alla nebbia.
Di quale raccolta fa parte la lirica?
Nebbia fa parte dei Canti di Castelvecchio (1903).
In quale saggio Pascoli descrive il suo Simbolismo?
Pascoli descrisse la sua poetica nel saggio Il fanciullino (1897).
A quale raccolta poetica si ispirò per la propria Pascoli?
I canti di Castelvecchio si rifanno ai Canti di Giacomo Leopardi.
Qual è la forma metrica di Nebbia?
Nebbia è composta di 5 strofe di 6 versi ciascuna (3 novenari + 1 ternario + 1 novenario + 1 senario) disposti secondo lo schema rimico ABCBCA in cui tutti i senari rimano tra loro.
Attraverso quale figura retorica la poesia è rivolta alla nebbia?
Il poeta si rivolge alla nebbia attraverso l'apostrofe al v.2.
Fonti: libri scolastici superiori