Parafrasi, Analisi e Commento di: "La bufera" di Eugenio Montale


Immagine Eugenio Montale
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi puntuale
4) Parafrasi discorsiva
5) Figure Retoriche
6) Analisi e Commento
7) Confronti
8) Domande e Risposte

Scheda dell'Opera


Autore: Eugenio Montale
Titolo dell'Opera: La bufera e altro
Prima edizione dell'opera: 1956
Genere: Poesia lirica
Forma metrica: Versi liberi con prevalenza di endecasillabi (i versi 3 e 10 sono settenari, il verso 9 è un quinario sdrucciolo)



Introduzione


"La bufera" è una delle poesie più significative di Eugenio Montale, inclusa nella sua raccolta "Ossi di seppia", pubblicata nel 1925. Questa poesia, come molte altre dell'autore, riflette una profonda introspezione e un senso di crisi esistenziale, incapsulando le inquietudini di un'epoca segnata da tumultuosi cambiamenti storici e sociali. Attraverso immagini evocative e simbolismi ricchi, Montale riesce a trasmettere la fragilità della condizione umana di fronte alle forze naturali e ai conflitti interiori. In "La bufera", il poeta esplora il tema della lotta tra l'individuo e l'ambiente, mettendo in luce la vulnerabilità dell'animo umano di fronte alla tempesta, sia essa fisica che metaforica.


Testo e Parafrasi puntuale


1. La bufera che sgronda sulle foglie
2. dure della magnolia i lunghi tuoni
3. marzolini e la grandine,

4. (i suoni di cristallo nel tuo nido
5. notturno ti sorprendono, dell'oro
6. che s'è spento sui mogani, sul taglio
7. dei libri rilegati, brucia ancora
8. una grana di zucchero nel guscio
9. delle tue palpebre)

10. il lampo che candisce
11. alberi e muro e li sorprende in quella
12. eternità d'istante – marmo manna
13. e distruzione – ch'entro te scolpita
14. porti per tua condanna e che ti lega
15. più che l'amore a me, strana sorella, –

16. e poi lo schianto rude, i sistri, il fremere
17. dei tamburelli sulla fossa fuia,
18. lo scalpicciare del fandango, e sopra
19. qualche gesto che annaspa...

20. Come quando
21. ti rivolgesti e con la mano, sgombra
22. la fronte dalla nube dei capelli,

23. mi salutasti – per entrar nel buio.
«I principi non hanno occhi per vedere queste grandi meraviglie, le loro mani servono solo a perseguitarci» (dalla poesia A Dio di Agrippa d'Aubigné, poeta francese vissuto tra il 1522 e il 1630).

1. La bufera che scarica scrosciando di pioggia battente sulle foglie
2. dure dell'albero di magnolia il rumore prolungato dei suoi tuoni
3. del mese di marzo e la grandine,

4. (il picchiettio della grandine che sembra di cristallo in casa
5-9. ti sorprende e ti desta dal sonno durante la notte, di quell'oro che decora i tuoi mobili di mogano sulla copertina dei tuoi preziosi volumi rilegati, splende ancora, sulle tue palpebre chiuse come un guscio di noce, una scintilla piccola come un granello di zucchero che va spegnendosi

10. il lampo che illumina all'improvviso di un biancore pallidissimo
11. gli alberi e i muri e li immortala [come fosse il flash di una macchina fotografica]
12. in quell'istante eterno – il marmo del muro, la manna che cade dal cielo,
13. e la distruzione della tempesta – che tu porti eternamente scolpita come una statua dentro di te
14. per tua condanna e che ti lega (ti accomuna)
15. più dell'amore a me e al mio modo di essere, strana sorella, –

16. e poi lo schianto fragoroso del tuono, un rumore come quello dei sistri [strumento musicale antico simile alle nacchere], il picchiettare
17. dei chicchi di grandine come tamburelli sulla fossa ladra,
18. il calpestare della fanghiglia, e sopra
19. qualche gesto di qualcosa che annaspa [per riemergere dalle pozzanghere...]

20. Come quando [l'ultima volta che ci vedemmo]
21. ti voltasti verso di me e con la mano, dopo aver sgombrato
22. la fronte dalla frangia dei capelli,

23. mi salutasti – prima di sparire nel buio.



Parafrasi discorsiva


«I principi non hanno occhi per vedere queste grandi meraviglie, le loro mani servono solo a perseguitarci» (dalla poesia A Dio di Agrippa d'Aubigné, poeta francese vissuto tra il 1522 e il 1630).

La bufera che scarica scrosciando di pioggia battente sulle foglie dure dell'albero di magnolia il rumore prolungato dei suoi tuoni del mese di marzo e la grandine, (il picchiettio della grandine che sembra di cristallo in casa ti sorprende e ti desta dal sonno durante la notte, di quell'oro che decora i tuoi mobili di mogano sulla copertina dei tuoi preziosi volumi rilegati, splende ancora, sulle tue palpebre chiuse come un guscio di noce, una scintilla piccola come un granello di zucchero che va spegnendosi) il lampo che illumina all'improvviso di un biancore pallidissimo gli alberi e i muri e li immortala [come fosse il flash di una macchina fotografica] in quell'istante eterno – il marmo del muro, la manna che cade dal cielo, e la distruzione della tempesta – che tu porti eternamente scolpita come una statua dentro di te per tua condanna e che ti lega (ti accomuna) più dell'amore a me e al mio modo di essere, strana sorella, – e poi lo schianto fragoroso del tuono, un rumore come quello dei sistri [strumento musicale antico simile alle nacchere], il picchiettare dei chicchi di grandine come tamburelli sulla fossa ladra, il calpestare della fanghiglia, e sopra qualche gesto di qualcosa che annaspa [per riemergere dalle pozzanghere...].

Come quando [l'ultima volta che ci vedemmo] ti voltasti verso di me e con la mano, dopo aver sgombrato la fronte dalla frangia dei capelli, mi salutasti – prima di sparire nel buio.


Figure Retoriche


Allitterazioni: vv. 1-3, vv. 16-17-18-19, v. 17: Della "g" e della "r": "La bufera che sgronda sulle foglie / dure della magnolia i lunghi tuoni / marzolini e la grandine". Della "s", della "l" e della "r": "schianto", "sistri", "fremere", "tamburelli sulla fossa", "scalpicciare", "sopra", "gesto", "annaspa". Della "f": "fossa fuia". L'intero componimento riproduce man mano i suoni della tempesta di grandine che si abbatte sugli alberi, sulla casa e sul suolo infangato e allagato.

Apostrofi: v. 15: "strana sorella". La poesia è rivolta formalmente e dedicata a Irma Brandeis.

Asindeti: vv. 16-18: "lo schianto rude, i sistri, il fremere / dei tamburelli sulla fossa fuia, / lo scalpicciare del fandango". Il poeta descrive con un elenco veloce il rumore del tuono e poi della grandine battente.

Enjambements: vv. 1-2-3, vv. 4-5, vv. 6-7-8-9, vv. 10-11-12-13-14-15, vv. 16-17, vv. 18-19, vv. 20-21: il ritmo della poesia non coincide esattamente con la divisione in versi e viene continuamente rotto dall'enjambement riproducendo così l'atmosfera di una bufera in corso.

Epifrasi: vv.20-23: "Come quando / ti rivolgesti e con la mano, sgombra / la fronte dalla nube dei capelli, / mi salutasti – per entrar nel buio.". I versi finali (e soprattutto l'ultimo) spiegano il senso implicito del componimento.

Iperbato: "dell'oro/ che s'è spento sui mogani, sul taglio / dei libri rilegati, brucia ancora / una grana di zucchero nel guscio / delle tue palpebre)" (ricostruito: una grana di zucchero dell'oro dei libri rilegati che s'è spento sui mogani brucia ancora nel guscio delle tue palpebre): l'inversione restituisce la confusione del risveglio della ragazza.

Metafore: vv. 1-2, vv. 8-9, vv. 12-13, v. 22: "La bufera che sgronda sulle foglie/ dure della magnolia i lunghi tuoni". La bufera è vista come un essere pensante che scarica tuoni sul mondo, "una grana di zucchero nel guscio / delle tue palpebre)". Lo scintillio dell'oro nel buio della casa si intravede appena e appare perciò come una minuscola luce negli occhi della ragazza addormentata, "marmo manna/ e distruzione". L'immagine immortalata dal lampo è qualcosa di bianco (marmo), calato dal cielo (manna) e minaccioso (distruzione), "nube dei capelli". I capelli della ragazza formano una nuvola e la accostano perciò alla bufera stessa.

Onomatopea: v. 18: "lo scalpicciare del fandango". L'espressione riproduce il rumore della grandine che batte sulla fanghiglia di una pozzanghera.

Ossimori: v. 12: "eternità d'istante". L'attimo rischiarato dal lampo resta nella memoria, come una fotografia scattata dal flash.

Polisindeti: vv. 10-16: "il lampo che candisce / alberi e muro e li sorprende in quella / eternità d'istante – marmo manna / e distruzione – ch'entro te scolpita / porti per tua condanna e che ti lega / più che l'amore a me, strana sorella, – / e poi [...]". Gli oggetti illuminati dal lampo sono elencati e assimilati all'animo della ragazza e del poeta stesso.

Similitudini: vv. 20-23: "Come quando / ti rivolgesti e con la mano, sgombra / la fronte dalla nube dei capelli, / mi salutasti – per entrar nel buio.". La bufera e tutta la scena descritta sono assimilati all'ultima volta che il poeta e la ragazza si sono visti.

Sineddoche: v. 6: "che s'è spento sui mogani". I mobili della casa sono evocati attraverso il materiale di cui sono composti.

Sinestesia: v. 4: "i suoni di cristallo". La grandine è descritta attraverso il suo aspetto (lucida, dura e trasparente come il cristallo) ma è percepita attraverso il suono prodotto dai chicchi che si schiantano sulla casa.


Analisi e Commento


Storico-letterario

La bufera apre il ciclo di Finisterre, pubblicato prima nel 1943 a Lugano e in un secondo momento nel 1945 a Firenze. Il ciclo confluì infine nella terza raccolta montaliana, La bufera e altro del 1956. Finisterre è un fascicolo di poesie scritte nei primi anni della seconda guerra mondiale e fu pensata da Montale come una continuazione della precedente raccolta Le occasioni (1939). Entrambi i libri furono pubblicati inizialmente in Svizzera perché, come indica metaforicamente l'epigrafe ad apertura della poesia e dell'intera raccolta, (I principi non hanno occhi per vedere queste grandi meraviglie, le loro mani servono solo a perseguitarci), il regime fascista ne impediva la pubblicazione in Italia. La bufera e altro raccoglierà poi altre poesie, scritte tra il 1940 e il 1954, che avranno come tema l'orrore del secondo conflitto mondiale e la situazione di perenne angoscia politica vissuta durante i primi anni della Guerra Fredda. Si tratta perciò di una raccolta di una sessantina di poesie ripartite in sette sezioni, varia per tempi di composizione e temi.

Ad ispirare le poesie del ciclo di Finisterre è Clizia, la stessa donna alla quale il poeta dedica i Mottetti della raccolta poetica Le occasioni. Nella mitologia classica e nelle Metamorfosi del poeta latino Ovidio, Clizia è la fanciulla che, innamorata di Apollo e incapace di staccare gli occhi dal suo dio, si trasforma in girasole. Si tratta appunto di uno pseudonimo: la donna in questione è Irma Brandeis, giovane studentessa ebrea-americana conosciuta da Montale a Firenze nel 1933. Con "Clizia" Montale ha una relazione che dura qualche anno, fino al rientro della donna negli Stati Uniti a causa delle leggi razziali del 1938. La figura femminile compare in forma salvifica, mediatrice tra il mondo terreno e ultraterreno, come le donne-angelo dello stilnovismo. In tutta la raccolta si evidenzia l'anelito del poeta verso l'eterno, anche se non si ha un vero e proprio approdo religioso.

La bufera, come ci rivela lo stesso Montale in una lettera del 29 novembre 1965 all'amico Silvio Guarnieri, è una metafora della guerra, «in ispecie quella guerra dopo quella dittatura; ma è anche guerra cosmica, di sempre e di tutti». Da qui la sua importanza nella raccolta, essendo la poesia che la apre e che le dà il titolo. Il poeta ritiene che questa raccolta sia il suo libro migliore «sebbene non si possa penetrarlo senza rifare tutto il precedente itinerario. (Ossi di seppia del 1925 e Le occasioni, ndr) Nella Bufera è vivo il riflesso della mia condizione storica, della mia attualità d'uomo».

Tematico

Dopo la citazione che apre poesia, sezione e libro, la prima strofa inizia proprio con la descrizione della bufera, che viene raffigurata come una sorta di gigantesca entità che letteralmente scarica grandine e fulmini sul paesaggio. Dopo questa introduzione, la prospettiva ci immette, attraverso un inciso contenuto interamente tra parentesi, nella casa dove la ragazza viene svegliata di soprassalto dal rumore della grandine che batte sull'edificio. L'immagine salvifica della donna viene posta in un ambiente domestico, ricco e tranquillo, in cui i volumi rilegati della ragazza gettano scintille dorate sulla scena che lei osserva svegliandosi.

La tempesta ritorna, poi, nella terza strofa attraverso il lampo che, come fosse il flash di una fotografia scattata all'improvviso, sembra fissare le cose per l'eternità illuminandole. La luce fa riferimento sia alla distruzione portata dalla guerra che alla presenza della donna portatrice di salvezza. La tecnica che Montale usa è quella del correlativo oggettivo (la descrizione di concetti astratti attraverso immagini ed oggetti concreti che li illuminano o li svelano alla memoria): il lampo è "marmo manna e distruzione" che viene dal cielo: è un'immagine che accomuna la bufera all'animo della ragazza e del poeta stesso, come espresso dall'apostrofe che chiude la strofa (v.15 "strana sorella"). Come da ordini degli eventi naturali, nella quarta strofa viene indicato il tuono che segue il lampo e viene descritto l'ambiente esterno (il suolo e le pozzanghere) sul quale la bufera continua ad abbattersi come fosse un concerto di strumenti musicali (i sistri, antico strumento egiziano suonato nei riti funebri dedicati alla dea Iside, e i tamburelli).

Nella quinta strofa della Bufera ricompare il motivo della guerra attraverso una similitudine che associa La bufera al ricordo del dolore provato dal poeta nell'ultimo istante in cui egli vide la sua Clizia, che lo salutò discostandosi i capelli dalla fronte prima di partire per sempre per l'America in seguito all'emanazione delle leggi razziali da parte del regime fascista. Essa, come recita l'epifrasi dell'ultimo verso, si dileguò e scomparve nel buio, perché il poeta non poté mai più rincontrarla.

La donna, in questo componimento, è la luce che squarcia le tenebre, l'unica speranza: la luce del lampo coincide, infatti, con l'evento negativo della bufera, ma è anche segno della rivoluzione angelica portata dalla donna. Clizia auspica che il mondo possa essere più puro, ma non riesce a portare a compimento questo ideale, e questo desiderio frustrato la lega al poeta in un'affinità quasi fraterna che è più forte dell'amore. La sofferenza della donna la avvicina in qualche modo alla figura di Cristo, che ha sacrificato la sua stessa esistenza per il bene di tutta l'umanità e questo riferimento cristologico conferma la presenza del tema religioso nella raccolta La bufera e altro, anche se si tratta di una religione a-confessionale.

Stilistico

La bufera è composta in 23 versi liberi con prevalenza di endecasillabi (i versi 3 e 10 sono settenari, il verso 9 è un quinario sdrucciolo), ripartiti in una terzina, due sestine, una quartina, una terzina e una strofa finale composta da un unico verso. I versi sono sciolti, cioè non seguono uno schema rimico definito, ma sono presenti una consonanza tra i vv. 5-7, una rima tra i vv. 10-13 e una rimalmezzo tra i vv. 12-14 ("manna-condanna").

A livello ritmico la poesia non segue strettamente l'andamento dei versi, anzi attraverso un uso frequentissimo dell'enjambement (vv. 1-2-3, vv. 4-5, vv. 6-7-8-9, vv. 10-11-12-13-14-15, vv. 16-17, vv. 18-19, vv. 20-21) o di figure come la rimalmezzo, il ritmo è allo stesso tempo spezzettato e avvolgente e riproduce, sulla falsariga di quanto messo in pratica nella Pioggia del pineto da D'Annunzio, poeta amato e odiato da Montale, il tamburellare violento della grandine sul paesaggio. Tale elemento è poi accentuato dalle allitterazioni (vv. 1-3 della -g- e della -r- "La bufera che sgronda sulle foglie / dure della magnolia i lunghi tuoni / marzolini e la grandine". Della –s, della –l e della –r: vv. 16-17-18-19: schianto, sistri, fremere, tamburelli sulla fossa, scalpicciare, sopra, gesto, annaspa; della -f- v. 17: "fossa fuia") Il componimento riproduce man mano i suoni della tempesta di grandine che si abbatte sugli alberi, sulla casa e sul suolo infangato e allagato, ossia le diverse prospettive sulle quali il testo si concentra a seconda delle varie strofe.

A livello sintattico Montale sceglie una sintassi nominale per mettere in rilievo gli elementi che fanno riferimento alla guerra: la bufera, il lampo, i sistri (che nell'antico Egitto erano utilizzati per le cerimonie funebri e qui diventano simboli di morte). Differentemente rispetto al solito – Montale adotta spesso una sintassi molto semplice –, nella Bufera, anche per esprimere la tempesta d'animo che condivide con Clizia e in generale con i suoi simili durante gli anni del regime e la Seconda Guerra Mondiale, il poeta utilizza un periodare complesso, ricco di incisi, parentesi e figure come l'iperbato (vv. 5-9 "dell'oro/ che s'è spento sui mogani, sul taglio / dei libri rilegati, brucia ancora / una grana di zucchero nel guscio / delle tue palpebre") (ricostruito: una grana di zucchero dell'oro dei libri rilegati che s'è spento sui mogani brucia ancora nel guscio delle tue palpebre). Allo stesso modo, il lessico è aulico, ricercato e messo al servizio della musicalità (si pensi a termini come "sistri", "fuia", "fandango") attraverso la quale il poeta vuole descrivere la bufera di grandine che si abbatte sulla casa dove la ragazza riposa.


Confronti


Nella produzione di Eugenio Montale, il riferimento alle donne è molteplice e segnato da alcuni elementi di costanza e malinconia. Negli ultimi versi di La bufera, egli ci racconta l'addio di Irma Brandeis, l'ebrea americana che non rivide più dopo il rimpatrio a causa delle leggi razziali. L'altro componimento, probabilmente il più celebre, dedicato a una donna è Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale (in Satura, 1971). In questo caso il componimento è dedicato a "mosca", ossia Drusilla Tanzi, moglie del poeta, morta appena 4 anni prima della redazione della lirica (1967), il soprannome era dovuto alla forte miopia della donna. L'elemento di comunanza con La bufera si trova nei primi due versi: "Ho sceso, dandoti il braccio almeno un milione di scale / e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino"). Le donne amate da Montale condividono la caratteristica di svanire e, appunto, lasciare un vuoto o un "buio", come in La bufera, nella memoria del poeta. Lo stesso accade in La casa dei doganieri (in Le occasioni, 1939) e Cigola la carrucola del pozzo (in Ossi di seppia, 1925), entrambe dedicate a Anna degli Uberti (o Annetta), amore giovanile di Montale che trascorreva con lui le villeggiature estive a Monterosso in Liguria e che il poeta – non sappiamo se in malafede – credeva morta in giovane età. Le liriche trattano dell'inafferrabilità dei ricordi sulla fanciulla, che dopo essere riaffiorata momentaneamente nella memoria del poeta sparisce nell'"atro fondo" del passato, che in Cigola la carrucola è appunto rappresentato dall'oscurità del pozzo.

La bufera condivide inoltre alcune tematiche con La pioggia nel pineto di Gabriele D'Annunzio. Il poeta abruzzese era uno di quelli che nel componimento I limoni Montale definiva "poeti laureati", criticando l'utilizzo di termini aulici e quasi sconosciuti. Tuttavia, in questo componimento egli cerca di imitare le caratteristiche della poesia dannunziana e riprodurre attraverso allitterazioni e giochi fonici il rumore della grandine. D'Annunzio appunto riproduceva il rumore della pioggia sui pini e utilizzava una metafora che ritroviamo in La bufera:

46. E il pino
47. ha un suono, e il mirto
48. altro suono, e il ginepro
49. altro ancóra, stromenti
50. diversi
51. sotto innumerevoli dita.

La metafora vuole che la pioggia suoni rami e foglie come in una sorta di concerto d'orchestra: Montale, oltre a richiamare nell'incipit lo "sgrondare" della bufera sulle foglie della magnolia (quasi citando D'Annunzio) paragona appunto ai vv.16-17 il battere dei chicchi di grandine a un concerto di tamburelli e sistri, riproducendo inoltre la celebre fusione dannunziana tra uomini e natura – il cosiddetto panismo – dei vv. "non bianca / ma quasi fatta virente, / par da scorza tu esca" nella descrizione delle palpebre di "Clizia", paragonate a gusci di noce.

Altro poeta di riferimento in La bufera è sicuramente il Giovanni Pascoli del trittico Temporale, Il lampo, ll tuono in Myricae (1893). Le tre poesie pascoliane trattano l'evento atmosferico nelle sue varie fasi e riproducono luci e suono del fulmine, esattamente come fa Montale tra le strofe tra la terza e la quarta strofa di questo componimento. È infine interessantissima la corrispondenza nella descrizione del lampo, che nella Bufera come un flash fotografico immortala "l'eternità d'istante". In Il lampo Pascoli descrive questa scena:

5. una casa apparì sparì d'un tratto;
6. come un occhio, che, largo, esterrefatto,
7. s'aprì si chiuse, nella notte nera.

Si tratta appunto di un paesaggio illuminato istantaneamente dal fulmine e poi di nuovo scomparso nell'oscurità della notte e della tempesta. E appunto a comparire è la "casa", simbolo nel sistema poetico di Pascoli del "nido" degli affetti familiari, unico baluardo contro la crudeltà e i pericoli del mondo. Montale appunto si riferisce direttamente a Pascoli chiamando "nido notturno" la casa in cui Clizia viene sorpresa ma continua a riposare nella seconda strofa di La bufera.


Domande e Risposte


Di quale raccolta fa parte La bufera?
La bufera fa parte di La bufera, e altro (1951).

Di quale sezione fa parte?
Il componimento fa parte di Finisterre, originariamente opuscolo autonomo poi confluito nella raccolta più ampia.

Quale posizione occupa la lirica nella raccolta?
La bufera è collocata in apertura e presenta l'intero libro di poesie.

A chi è dedicata la poesia?
La poesia è dedicata a "Clizia", pseudonimo di Irma Brandeis, con la quale il poeta ebbe una relazione prima della Seconda Guerra Mondiale.

Di cosa è simbolo la "bufera"?
Secondo quanto disse lo stesso Montale, la bufera è simbolo della guerra.

Che figura retorica è realizzata al celebre v.12 "eternità d'istante"?
La figura retorica in questione è un ossimoro.

Fonti: libri scolastici superiori

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