Plotino - Ritorno all'Uno


Immagine Plotino
1) Introduzione
2) Lettura
3) Guida alla lettura
4) Guida alla Comprensione

Introduzione


Nell'ultimo capitolo delle Enneadi si esplora il concetto dell'Uno come l'essenza primordiale e il destino finale di ogni entità. Questo trattato delinea il ritorno dell'anima verso la sua origine, un movimento che rappresenta la sua condizione di pienezza e felicità. Il testo si articola in una parte dedicata alla spiegazione ontologica del desiderio dell'anima di ritornare all'Uno, dove risiede la completezza dell'essere, e in un'altra parte che usa un'analisi di tipo filosofico, attingendo ai concetti platonici, per descrivere l'unione con l'Uno in termini di amore spirituale. Si sottolinea la profonda aspirazione dell'anima a liberarsi dal mondo, dove l'amore è solo un riflesso ingannevole della vera unione con il principio. L'anima, infatti, non si separa mai realmente dall'Uno nella sua dimensione intellettuale, e è attraverso l'esperienza di questa unione che ritorna, tramite la contemplazione, al mondo dell'intelligibile. Tuttavia, il culmine di questo incontro resta indescrivibile: l'estasi dissolve ogni distinzione nell'Uno, inclusa quella tra soggetto e oggetto, e sebbene l'anima possa ricordare, tale esperienza non può essere comunicata con le parole, ma solo con un sentire privo di barriere concettuali.


Lettura


Quando noi guardiamo l'Uno, allora lì è per noi «il termine ed il riposo», e non cantiamo più senza accordo, noi che danziamo realmente intorno all'Uno una danza in cui siamo posseduti dal dio.
In questa danza l'anima vede la fonte della vita, la fonte dell'Intelletto, il principio dell'essere, la causa del bene, la radice dell'anima; e non nel senso che queste cose scaturiscono dall'Uno e lo diminuiscono. Infatti l'Uno non è una massa [...] permane sempre nella medesima condizione senza dividersi nei suoi prodotti e conservandosi intero; così anche ciò che ha generato persiste nel medesimo stato, così come, se il sole resta, resta anche la luce.

Del resto, noi non siamo divisi dall'Uno e non siamo separati, anche se la natura dei corpi si insinua tra noi e ci trascina a sé. Se noi respiriamo e conserviamo il nostro essere, non è perché l'Uno ce l'ha dato una volta e poi si è ritirato, ma perché ce ne provvede di continuo, finché ciò che è sia.

Così noi siamo di più quando tendiamo all'Uno e lì è il nostro benessere; invece, quando siamo lontani dall'Uno ci sono solo essere ed essere meno. È nell'Uno che l'anima può trovare il suo riposo e sfuggire i mali, perché essa è risalita al luogo puro da ogni male. È li che essa esercita la propria attività intellettuale; lì non soffre più nulla. Lì vive veramente. Infatti la nostra vita attuale, questa vita senza Dio, non è che traccia di vita, imitazione della vita autentica.

La vita di lassù è l'attività stessa dell'Intelletto. Attività che, in un tranquillo contatto con l'Uno, genera gli dèi, infatti genera la bellezza, la giustizia, la virtù. Queste cose l'anima concepisce, resa feconda da Dio stesso. Questo per l'anima è il principio e la fine: principio perché l'anima viene di lassù, fine perché lassù è il Bene e quando sia giunta lassù l'anima diventa se stessa e ciò che era. Invece, l'essere di quaggiù non è altro che caduta, fuga e perdita d'ali.

Che lì sia il Bene lo attesta l'innato amore dell'anima, e questo è il motivo per cui Eros è associato a Psiche nelle pitture e nei racconti. Infatti, siccome l'anima è qualcosa di differente da Dio e però procede da Dio, l'anima ama Dio necessariamente. Quando è lassù l'anima possiede Eros celeste, ma quaggiù Eros diventa Eros volgare. Il fatto è che lassù Afrodite è celeste, quaggiù diventa Afrodite volgare in certo modo meretrice. Ogni anima è Afrodite; e questo esprime in forma di enigma la storia della nascita di Afrodite e la nascita di Eros insieme a lei. Sicché, se l'anima è nella condizione adatta alla propria natura e vuole unirsi a Dio, l'anima ama di un amore nobile, quale può provare una vergine per il nobile padre.

Ma quando l'anima giunga nel mondo del divenire e resti, per così dire, delusa dalle lusinghe dei suoi pretendenti, avendo scambiato, in assenza del padre, il proprio amore per un diverso amore mortale, essa è violentata. Se però l'anima ricomincia a disprezzare le violenze del mondo, se essa se ne purifica e si orienta di nuovo verso il padre, ecco che essa «si riempie di gioia».

Se a qualcuno è ignota questa esperienza, provi ad immaginarsela a partire dagli amori di quaggiù, da ciò che significa conquistare chi più si ama, tenendo però conto che ciò che quaggiù si ama è mortale e dannoso, e che questi sono amori di immagini e sono mutevoli, perché non è questo che amiamo veramente, non è il nostro bene, non è ciò di cui siamo in cerca.

Lassù è il vero amato, con il quale è possibile anche unione partecipandone e veramente possedendolo, senza l'abbraccio esteriore e carnale. «Colui che ha veduto sa quello che dico», che l'anima riceve allora un'altra vita, quando si accosta all'Uno e si è già resa vicina e partecipa di esso, cosicché, in questa condizione, essa è consapevole della presenza di colui che dona la vera vita, e sa di non avere bisogno di altro, e che anzi è venuto il momento di lasciare tutto il resto, e di restare in quello solo e farsi quello solo, tagliando via tutto il resto che ci circonda.

Così che aspiriamo a sottrarci a questo mondo e mal sopportiamo il nostro vincolo con le cose opposte e desideriamo di abbracciare l'Uno, ciascuno di noi con tutto se stesso, senza che una parte di noi non abbia toccato dio. Lassù, è vero, è possibile vedere e l'Uno stesso e se stessi, per quanto è concesso vedere. È vedere se stessi illuminati, pieni di luce intellettuale, anzi divenuti la luce stessa, pura, senza peso, leggera, perché siamo divenuti dio stesso o meglio siamo dio stesso. Allora siamo come accesi, ma se di nuovo siamo appesantiti, è come se ci estinguessimo.

Perché non si rimane lassù, allora? Perché non siamo del tutto usciti fuori dal mondo. Verrà un tempo in cui sarà visione continua per chi non sarà più impacciato dall'impaccio del corpo. Peraltro, non è la parte dell'anima che ha veduto ad essere turbata dal corpo, ma l'altra, quella che, quando l'anima che ha veduto è inattiva rispetto alla visione, non rimane inattiva rispetto alla scienza e si impegna in dimostrazioni, prove e dialoghi dell'anima con se stessa.

Ma il vedere e ciò che vede non sono ormai più ragione, sono superiori alla ragione, sono prima della ragione, oltre la ragione, come anche ciò che è visto. Colui che vede, vedendo se stesso, quando vede, si vedrà tale, o meglio sarà unito a un io tale se stesso e tale si percepirà, divenuto semplice. [...] Il vedente, in quel momento in cui vede, in effetti non vede e non discerne, e non si raffigura come divenuto due cose, ma piuttosto viene ad essere altro, non è più se stesso, non si appartiene più, ed è tutto di ciò che è lassù, è congiunto all'Uno, è uno, come se avesse congiunto centro con centro: anche quaggiù due centri coincidenti sono uno. E non ritornano due che quando si separano.

Questa la ragione per cui noi ora parliamo in termini di «diverso». Questa la ragione per cui la visione è difficile da descrivere. Come annunciarlo in termini di «diverso», se al momento della visione non si è visto diverso, ma uno con se stesso?

Questo è il senso della consegna data nei nostri misteri di non rivelare ai non iniziati. È perché dio non è rivelabile che la consegna vieta di rendere noto il divino a chi non ha avuto in sorte di vedere. Dal momento che il vedente ed il veduto non sono mai stati due ed invece chi ha visto è uno con ciò che ha visto, come se ciò che è stato visto non fosse stato visto da chi ha visto, ma fosse unito a lui, allora, se ricorda chi divenne quando era unito con l'Uno, colui che vide ne terrà in sé l'immagine. Egli stesso era uno e non c'era in lui differenza in rapporto a se medesimo ed alle altre cose. Quando si era portato lassù, nulla si muoveva in lui, né impeto né desiderio di altro che non fosse in lui. Non aveva nemmeno più ragione, né intellezione, insomma non era più se stesso, se ciò si può dire. Era come rapito, preso da una tranquilla possessione divina, era entrato nella solitudine e in una quiete stabile, senza più declinare dalla propria essenza, senza più rivolgersi intorno a se stesso, in completo riposo, in certo senso fattosi egli stesso riposo.

Non era più una delle cose belle, ma era già al di là del bello, al di là dello stesso coro delle virtù, come per chi abbia avuto accesso ai penetrali del santuario, lasciatosi alle spalle le statue che si trovano nel tempio, che saranno però le prime per lui quando uscirà dal santuario, dopo la visione e l'unione vissute all'interno, non con una statua o un'immagine, ma con dio stesso: le statue non sono più che oggetti di visione di secondo grado. Ma forse non era una visione, ma un altro modo di vedere. Una uscita da sé, una semplificazione di é, un'espansione di sé, aspirazione al contatto ed alla quiete, pensiero sempre intento alla coincidenza: questo è, se si vuol guardare ciò che è nei penetrali del santuario; a chi guardi in diversa maniera nulla si fa presente.


Guida alla lettura


1) Annota le espressioni che si riferiscono all'Uno in termini di pienezza di essere e di bene, che non può essere diminuita.
Ecco le espressioni che si riferiscono all'Uno in termini di pienezza di essere e di bene, che non può essere diminuita:

"nell'Uno c'è pienezza di essere"
"l'Uno non è una massa […] permane sempre nella medesima condizione senza dividersi nei suoi prodotti e conservandosi intero"
"l'Uno è il Bene"
"nell'Uno che l'anima può trovare il suo riposo e sfuggire i mali"
"Perché l'Uno ce l'ha dato una volta e poi si è ritirato, ma perché ce ne provvede di continuo, finché ciò che è sia"
"lassù è il vero amato, con il quale è possibile anche unione partecipandone e veramente possedendolo"
"nell'Uno stesso e se stessi"

2) In che termini si pone il rapporto dell'Uno con gli esseri che da lui derivano?
Il testo descrive il rapporto dell'Uno con gli esseri che da lui derivano in termini di continuità e partecipazione. L'Uno è presentato come principio e fine di ogni essere, e gli esseri derivati da esso mantengono una relazione intrinseca con l'Uno stesso. Si afferma che gli esseri non diminuiscono l'Uno, ma piuttosto partecipano alla sua essenza senza distoglierlo dalla sua pienezza. Questo rapporto implica una sorta di costante emanazione dell'Uno che sostiene gli esseri nel loro essere e nella loro ricerca della pienezza.

3) Rintraccia i termini metaforici che descrivono la tensione dell'anima verso l'Uno come una forma di amore e quelli che descrivono in termini di degradazione gli amori non spirituali.
I termini metaforici che descrivono la tensione dell'anima verso l'Uno come una forma di amore sono:

Eros celeste: Questo termine richiama l'amore spirituale e divino che l'anima prova verso l'Uno, rappresentando un amore puro e nobile.
Vergine per il nobile padre: Questa metafora suggerisce un amore puro e rispettoso dell'anima verso l'Uno, paragonando l'unione dell'anima con Dio a quella di una figlia con un padre nobile e dignitoso.

I termini che descrivono in termini di degradazione gli amori non spirituali sono:

Eros volgare: Questo termine suggerisce un amore terreno, legato alla materialità e alla sensualità, che contrasta con l'Eros celeste e rappresenta una forma degradata di amore.
Afrodite volgare: Questa metafora indica la trasformazione della dea dell'amore, Afrodite, in una figura terrena e profana, evidenziando la caduta e la corruzione degli amori non spirituali.
Meretrice: Questo termine sottolinea la degradazione e la mancanza di nobiltà degli amori terreni, associando l'amore profano alla prostituzione e alla perdita di dignità spirituale.
Violata: Questa parola suggerisce una violenza e una forzatura nell'amore terreno, indicando un'esperienza negativa e dannosa per l'anima.

4) Descrivi sinteticamente i termini in cui si parla della visione estatica. Che cosa vede l'anima nell'Uno?
Nel testo, si parla della visione estatica come un'esperienza in cui l'anima si unisce all'Uno e percepisce se stessa come parte di Dio stesso. Durante questa visione, l'anima diventa illuminata e piena di luce intellettuale, diventando essa stessa la luce pura e leggera dell'Uno. Questa unione porta l'anima a percepire sé stessa come Dio stesso e a sperimentare una profonda trasformazione interiore. Ciò che l'anima vede nell'Uno è la propria essenza unita a Dio, e questa visione va oltre la ragione e la comprensione intellettuale ordinaria. Si tratta di un'esperienza di unione totale, in cui l'anima diventa uno con l'Uno e percepisce l'unità dell'esistenza senza più distinzioni o dualità.

5) Quando torna alla realtà, l'anima è scissa in due parti. Quali?
Quando l'anima torna alla realtà, è descritta come divisa in due parti: una parte che ha visto e l'altra che, mentre l'anima che ha visto è inattiva rispetto alla visione, si impegna in dimostrazioni, prove e dialoghi dell'anima con se stessa. In altre parole, c'è una parte dell'anima che è stata illuminata dalla visione divina e una parte che continua ad essere attiva nel mondo terreno, impegnata nelle attività razionali e quotidiane.

6) Come mai si fa riferimento ai misteri e a pratiche di iniziazione che impongono il silenzio agli adepti?
Nel testo si fa riferimento ai misteri e alle pratiche di iniziazione che impongono il silenzio agli adepti per diversi motivi:

Sacralità e Segretezza: I misteri e le pratiche di iniziazione erano considerati sacri e riservati solo agli iniziati. Il silenzio era parte integrante di questo contesto sacro e serviva a mantenere la sacralità dell'esperienza e a proteggere i segreti e le conoscenze trasmesse durante tali riti.
Incomprensibilità Razionale: Le esperienze vissute durante i misteri potevano essere difficili da descrivere razionalmente. Queste esperienze spesso andavano oltre la comprensione razionale e linguistica ordinaria, e quindi il silenzio poteva essere considerato il modo migliore per preservare l'integrità e la profondità di tali esperienze.
Esperienza Indicibile: Alcune esperienze mistiche o spirituali sono così profonde e personali che è difficile comunicarle con le parole. Il silenzio diventa quindi un modo per rispettare la natura ineffabile di queste esperienze e per indicare che esse vanno al di là delle capacità di espressione verbale.
Preservare la Pratica: Imponendo il silenzio agli adepti, si cercava anche di mantenere l'efficacia delle pratiche di iniziazione stesse. Se tutto fosse stato rivelato pubblicamente, si temeva che la pratica potesse perdere la sua potenza e autenticità, poiché sarebbe stata soggetta a fraintendimenti o abusi da parte di coloro che non erano adeguatamente preparati o maturi per comprenderla.

In sintesi, il silenzio nei misteri e nelle pratiche di iniziazione serviva a preservare la sacralità e la profondità delle esperienze, proteggere i segreti trasmissibili solo agli iniziati, e mantenere l'autenticità e l'efficacia delle pratiche stesse.


Guida alla Comprensione


1) Perché l'anima desidera tornare all'Uno?
L'anima desidera tornare all'Uno perché l'Uno rappresenta il principio e il fine di ogni essere. Nell'Uno, l'anima trova pienezza di essere e condizione di bene e felicità. Questo desiderio di ritorno all'Uno deriva dalla natura stessa dell'anima, che cerca di allontanarsi dal mondo materiale, dove trova solo un'imitazione ingannevole dell'amore che la unisce al principio, per ricongiungersi con l'essenza pura e autentica dell'Uno.

2) Perché il ritorno all'Uno comporta una sorta di conversione della forma in cui l'anima ama e soprattutto la negazione del rapporto con il mondo?
Il ritorno all'Uno comporta una trasformazione profonda dell'anima, inclusa la sua modalità di amare e la relazione con il mondo circostante, per diverse ragioni:

Conversione dell'amore: Quando l'anima si avvicina all'Uno, il suo amore subisce una trasformazione radicale. L'amore terreno, legato agli oggetti e alle persone del mondo materiale, viene purificato e elevato a un amore più nobile e spirituale, che tende verso il Bene supremo rappresentato dall'Uno. Questo significa che l'anima abbandona l'amore volgare e fugace per abbracciare un amore più puro e duraturo, è in armonia con la natura divina dell'Uno.
Negazione del legame con il mondo materiale: L'anima aspira a distaccarsi dal mondo materiale poiché comprende che questo mondo è solo un riflesso o un'imitazione ingannevole della realtà più elevata rappresentata dall'Uno. Il legame con il mondo materiale è considerato una fonte di illusione e sofferenza, poiché porta lontano dalla conoscenza e dall'unione con l'Uno. Quindi, il ritorno all'Uno implica la negazione del legame con il mondo materiale e un'ascesa verso una dimensione più spirituale e trascendente.

In sintesi, il ritorno all'Uno comporta una conversione dell'amore da terreno a spirituale e una negazione del rapporto con il mondo materiale, poiché l'anima cerca di realizzare la sua unione con l'Essere supremo e di trovare la felicità e la pienezza attraverso questa unione.

3) Da che cosa dipende il fatto che l'anima non possa restare nella visione, anche quando riesce a raggiungerla?
Il testo di Plotino suggerisce che l'anima non può rimanere nella visione a causa della sua natura e delle sue limitazioni intrinseche. Quando l'anima riesce a raggiungere la visione dell'Uno, sperimenta un'esperienza oltre la ragione e oltre se stessa. Tuttavia, non può rimanere in questo stato perché è ancora legata al mondo materiale e alle sue influenze. Questo legame con il mondo materiale impedisce all'anima di rimanere nella visione continua dell'Uno.

Inoltre, l'anima è soggetta all'"impaccio del corpo", cioè alle limitazioni e alle influenze del corpo fisico e del mondo sensoriale. Questo impedisce all'anima di rimanere completamente libera e immersa nella visione dell'Uno. Tuttavia, il testo suggerisce che ci sarà un momento in cui coloro che non sono più intralciati dal corpo saranno in grado di godere di una visione continua dell'Uno.

4) Da che cosa dipende il fatto che non possa descriverla?
Il motivo principale per cui non può essere descritta è che l'esperienza della visione dell'Uno va al di là delle capacità del linguaggio umano e della comprensione razionale. La visione dell'Uno porta l'anima oltre la ragione e la distinzione tra soggetto e oggetto, portandola a un livello di esperienza mistica e trascendente. Questa esperienza è così profonda e ineffabile che non può essere pienamente compresa o comunicata attraverso le parole o i concetti convenzionali. Inoltre, il testo suggerisce che la visione dell'Uno è così intima e personale che non può essere condivisa pienamente con gli altri, rendendo difficile anche la sua descrizione.

Fonti: Zanichetti, libri scolastici superiori

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