Anselmo d'Aosta - Dall'idea di Dio alla sua esistenza


Immagine Anselmo d'Aosta
1) Introduzione
2) Lettura
3) Guida alla lettura
4) Guida alla Comprensione

Introduzione


Nel Proslogio, Anselmo presenta una via logica che considera più diretta per raggiungere Dio rispetto al Monologio precedente. Egli sostiene di aver compiuto un notevole progresso grazie all'illuminazione divina, proponendo un percorso più semplice che parte dalla presenza del concetto di Dio nella mente e applica direttamente l'idea del massimo essere possibile. Questo approccio rappresenta un miglioramento rispetto al metodo platonico del Monologio, che si basava sull'idea del bene in sé. Nel Proemio, Anselmo introduce il suo nuovo lavoro facendo riferimento alla sua opera precedente, sottolineando il salto di qualità compiuto. Nel secondo capitolo del Proslogio, egli espone la sua dimostrazione logica, mettendo il negatore dell'esistenza di Dio in contraddizione con se stesso. Questo argomento, noto come "prova ontologica", si basa sulla derivazione dell'esistenza dall'essenza di Dio, rappresentando così un punto chiave della sua ricerca.


Lettura


Proemio

Dopo aver pubblicato, per le pressanti preghiere di alcuni confratelli, un opuscolo come esempio di meditazione sulla razionalità della fede, mettendomi nella posizione di chi, ragionando silenziosamente dentro di sé, ricerca ciò che non conosce, considerando che quell'opuscolo era costruito con la concatenazione di molti argomenti, ho cominciato a chiedermi se per caso fosse possibile trovare un argomento unico, tale che per essere dimostrato non avesse bisogno di altro, ma solo di se stesso; e che fosse da solo sufficiente a stabilire che Dio esiste veramente, che è il sommo bene di nessun altro bisognoso e di cui tutte le cose hanno bisogno per essere e per benessere, e tutto ciò che crediamo della divina sostanza.

Rivolgevo spesso e con impegno il mio pensiero su questo punto e talvolta mi sembrava di poter già afferrare quanto cercavo, talvolta invece sfuggiva del tutto all'acume della mia mente; alla fine, privo di speranza, volli cessare la ricerca di una cosa che sembrava impossibile trovare. Ma quando volevo escludere completamente da me quel pensiero, affinché non impedisse alla mia mente, occupandola inutilmente, di impegnarsi in altri pensieri nei quali potessi fare progressi, proprio allora quel pensiero cominciò sempre più ad imporsi, con una certa importunità, a me che non lo volevo e lo respingevo. Mentre dunque, un giorno, fortemente mi affaticavo nel resistere alla sua insistenza, nel conflitto stesso dei pensieri mi si presentò ciò di cui avevo disperato, sì da farmi applicare con passione a quel pensiero che mi ero preoccupato di respingere.

Ritenendo poi che quanto gioivo di avere trovato, se fosse stato scritto, sarebbe piaciuto a qualche lettore, su questo e su altri argomenti ho scritto il seguente opuscolo, mettendomi nella posizione di chi tenta di innalzare la sua mente a contemplare Dio e cerca di comprendere ciò che crede.

E poiché giudicavo che né questo opuscolo né quello che sopra ho ricordato fossero degni del nome di libro o di portare il nome dell'autore, ma pensavo tuttavia che non si dovessero pubblicare senza un titolo qualsiasi col quale invitassero alla lettura, in qualche modo, colui nelle cui mani fossero pervenuti, diedi a ciascuno il suo titolo, chiamando il primo Esempio di meditazione sulla ragione della fede e il successivo La fede che cerca l'intelletto.

Ma quando l'uno e l'altro erano già stati trascritti da molti con questi titoli, molti mi sollecitarono (specialmente il reverendo arcivescovo di Lione, di nome Ugo, legato apostolico in Gallia, che me l'ordinò con autorità apostolica) a scrivere il mio nome su di essi. Per fare ciò più adeguatamente, ho dunque intitolato il primo opuscolo Monologion, cioè soliloquio, e questo invece Proslogion, cioè colloquio. [...]

Dio esiste veramente

Dunque, o Signore, tu che dai l'intelligenza alla fede, concedimi di comprendere, per quanto sai che mi possa giovare, che tu esisti come crediamo e che sei quello che noi crediamo.

E davvero noi crediamo che tu sia qualcosa di cui non si possa pensare nulla di più grande. O forse non vi è una tale natura, perché «disse l'insipiente in cuor suo: Dio non esiste».

Ma certamente quel medesimo insipiente, quando ascolta ciò che dico, cioè «qualcosa di cui non si può pensare nulla di più grande», comprende ciò che ode;e ciò che comprende è nel suo intelletto, anche se egli non intende che quella cosa esista.

Altro, infatti, è che una cosa sia nell'intelletto, e altro è intendere che quella cosa esista. Quando il pittore infatti, prima pensa a ciò che sta per fare, ha certamente nell'intelletto ciò che ancora non ha fatto, ma non intende ancora che questo esista. Quando invece lo ha già dipinto, non solo ha nell'intelletto ciò che ha già fatto, ma intende anche che esso esista.

Anche l'insipiente, dunque, deve convenire che, almeno nell'intelletto, vi sia qualcosa di cui non si può pensare nulla di più grande, perché quando sente questa espressione la intende, e tutto ciò che si intende è nell'intelletto.

Ma, certamente, ciò di cui non si può pensare qualcosa di più grande non può essere nel solo intelletto. Se infatti è almeno nel solo intelletto, si può pensare che esista anche nella realtà, il che è maggiore. Se dunque ciò di cui non si può pensare il maggiore è nel solo intelletto, quello stesso di cui non si può pensare il maggiore è ciò di cui si può pensare il maggiore. Ma evidentemente questo non può essere. Dunque ciò di cui non si può pensare il maggiore esiste, senza dubbio, sia nell'intelletto sia nella realtà.

Tutto ciò è talmente vero, che non si può neppure pensare che Dio non esista. Infatti si può pensare che vi sia qualcosa di cui non si possa pensare che non esiste; e questo è maggiore di ciò che si può pensare non esistente. Quindi, se ciò di cui non si può pensare il maggiore può essere pensato non esistente, quello stesso di cui non si può pensare il maggiore non è ciò di cui non si può pensare il maggiore; ma questo è contraddittorio.

Dunque ciò di cui non si può pensare il maggiore esiste così veramente che non si può neppure pensare non esistente.

E questo sei tu, Signore Dio nostro. Dunque tu esisti così veramente, Signore Dio mio, che non puoi neppure essere pensato non esistente. E giustamente. Se infatti una qualche mente potesse pensare qualcosa migliore di te, la creatura si eleverebbe al di sopra del Creatore e sarebbe giudice del Creatore; il che sarebbe grandemente assurdo.

In verità, di tutto ciò che è, all'infuori di te solo, si può pensare che non sia. Tu solo dunque hai l'essere nel modo più vero, e perciò massimo, rispetto a tutte le cose, perché qualsiasi altra cosa non è in modo così vero e, quindi, ha un essere minore. Perché dunque «l'insipiente ha detto in cuor suo: Dio non esiste», quando è così evidente ad una mente razionale che tu sei più di tutte le cose? Per quale motivo, se non perché è stolto e insipiente?

Ma in quale modo l'insipiente ha detto in cuor suo ciò che non ha potuto pensare, o in che modo non ha potuto pensare ciò che ha detto in cuor suo, dato che è la stessa cosa dire nel cuore e pensare? Se poi veramente, anzi poiché veramente sia lo pensò perché lo disse in cuor suo, sia non lo disse in cuor suo perché non poteva pensarlo, non in un modo soltanto si dice nel cuore o si pensa qualcosa. In un modo, infatti, una cosa è pensata quando si pensa la parola che la significa; in un altro modo, quando si comprende ciò che la cosa è.

Nel primo modo, pertanto, si può pensare che Dio non sia, ma nel secondo assolutamente no. Perciò nessuno, il quale comprenda ciò che Dio è, può pensare che Dio non esista, sebbene dica in cuor suo queste parole, non dando loro alcun significato o dandogliene uno estraneo. Dio, infatti, è ciò di cui non si può pensare il maggiore. Chi comprende bene questo, comprende certamente che egli esiste in modo tale che neppure nel pensiero può non essere. Chi dunque comprende che Dio è così, non può pensare che egli non esista.

Ti ringrazio, buon Signore, ti ringrazio perché ciò che prima ho creduto per un tuo dono, ora per la tua illuminazione lo comprendo in modo tale che, se non volessi credere che tu esisti, non potrei non comprenderlo.


Guida alla lettura


1) Come presenta Anselmo il suo argomento?
Anselmo presenta il suo argomento mediante una forma di ragionamento logico, che egli chiama "prova ontologica". Questo argomento si basa sull'idea che Dio possa essere compreso come l'essere del quale non si può pensare nulla di più grande. Anselmo inizia esaminando il concetto di Dio come il massimo essere possibile e cerca di dimostrare che questo concetto implica necessariamente l'esistenza reale di Dio. Egli fa ricorso a una serie di argomentazioni logiche per mostrare che la non-esistenza di Dio è inconcepibile, poiché ciò porterebbe a una contraddizione. In sostanza, Anselmo cerca di dimostrare che il concetto di Dio come il massimo essere implica necessariamente l'esistenza di Dio stesso.

2) Trascrivi i passaggi come un dialogo tra il negatore di Dio e Anselmo.
Ecco il dialogo tra il negatore di Dio e Anselmo:

Negatore di Dio: Dio non esiste veramente. È solo un concetto nella mente umana, un'idea astratta senza realtà concreta.
Anselmo: Ma se pensi che Dio sia solo un concetto, devi ammettere che almeno nell'intelletto esiste qualcosa di cui non si può pensare nulla di più grande.
Negatore di Dio: Sì, posso accettare che ci sia un concetto di Dio, ma non significa che esista realmente.
Anselmo: Tuttavia, se ciò di cui non si può pensare nulla di più grande esiste almeno nell'intelletto, allora deve esistere anche nella realtà. Altrimenti, potremmo pensare a qualcosa di ancora più grande, contraddicendo l'idea stessa di ciò che è massimo.
Negatore di Dio: Ma forse posso pensare a qualcosa di più grande di Dio.
Anselmo: Impossibile. Se potessi pensare a qualcosa di più grande di Dio, allora quel qualcosa sarebbe Dio stesso. Ma è assurdo, poiché Dio è il massimo possibile.
Negatore di Dio: Tuttavia, posso negare l'esistenza di Dio senza contraddizioni.
Anselmo: Non è così. Chi comprende davvero che Dio è ciò di cui non si può pensare nulla di più grande, non può concepire che Dio non esista. È impossibile separare Dio dall'essere stesso.
Negatore di Dio: Devo ammettere che, anche se posso dire queste parole, comprendo ora che non posso veramente negare l'esistenza di Dio.

3) Come viene definito Dio?
Nel testo viene definito Dio come "qualcosa di cui non si può pensare nulla di più grande". Questa definizione sottolinea l'idea che Dio è il massimo possibile, il supremo bene di cui tutto ha bisogno per esistere e prosperare.

4) Dove si trova l'idea di Dio?
Nel testo viene espressa l'idea di Dio come "quello di cui non si può pensare nulla di più grande". Questa idea è presente nell'intelletto umano, poiché viene compresa e concepita come la massima perfezione possibile. Si tratta di un concetto che supera ogni altro concetto di grandezza o perfezione. Questa idea di Dio è intrinsecamente legata alla sua esistenza stessa, come viene argomentato nel testo.

5) Se Dio non esiste, chi è maggiore tra la mente e Dio?
Secondo il ragionamento proposto nel testo, se Dio non esistesse, allora ci sarebbe una contraddizione nel concetto stesso di Dio. Infatti, Dio è definito come "ciò di cui non si può pensare nulla di più grande". Se la mente fosse più grande di Dio, ciò significherebbe che la mente sarebbe in grado di concepire qualcosa di più grande di Dio, contraddicendo così la definizione di Dio. Pertanto, secondo il ragionamento di Anselmo, se Dio non esistesse, la mente non potrebbe essere considerata più grande di Dio, poiché il concetto di Dio contiene implicitamente l'idea che nulla possa essere più grande di lui.

6) Qual è la conclusione del ragionamento?
La conclusione del ragionamento è che Dio esiste in modo così veramente che non può neppure essere pensato come non esistente. Anselmo argomenta che Dio è l'essere massimo, al di sopra di ogni altro essere, e che pensare che Dio non esista sarebbe assurdo, poiché ciò implicherebbe che qualcosa potrebbe essere migliore di Dio stesso. Inoltre, sostiene che chi comprende veramente la natura di Dio non può nemmeno pensare che Egli non esista, poiché comprendere Dio significa comprendere che la sua esistenza è necessaria e incontestabile.


Guida alla Comprensione


1) L'argomento di Anselmo si basa sulla presenza nella mente dell'idea di Dio. In che modo la definizione di Dio entra in contraddizione con il fatto che Dio sia solo un contenuto della mente?
Nell'argomento di Anselmo, la definizione di Dio come "quella di cui non si può pensare nulla di più grande" entra in contraddizione con il concetto che Dio sia solo un contenuto della mente perché implica che Dio non può essere solamente una costruzione mentale, ma deve esistere anche nella realtà al di là della mente umana.

Se Dio fosse solamente un contenuto della mente, sarebbe possibile pensare qualcosa di più grande di lui, come ad esempio un essere reale che esiste al di fuori della mente umana. Tuttavia, poiché la definizione di Dio implica che non si può pensare nulla di più grande di lui, ciò suggerisce che Dio deve esistere non solo come concetto nella mente ma anche come realtà al di fuori della mente stessa. Questa discrepanza porta ad una contraddizione nell'idea che Dio sia solo un contenuto della mente umana.

2) Cerca di svelare l'implicito del discorso: per quale motivo anche il non credente deve dare quella definizione di Dio? Perché in altri termini, la ragione formula l'idea di Dio come massimo contenitore delle cose?
Il discorso di Anselmo affronta l'implicito concetto di Dio come il massimo essere concepibile, al di là delle credenze personali. Anselmo sostiene che anche un non credente, se comprende pienamente la definizione di Dio come il massimo essere concepibile, deve accettare che questo concetto implichi necessariamente l'esistenza di Dio. Questo perché il concetto stesso di Dio come il massimo essere concepibile implica che Dio sia qualcosa di cui non si può pensare nulla di più grande.

La ragione formula l'idea di Dio come massimo contenitore delle cose perché questa è la massima perfezione concepibile: un essere di cui non si può immaginare nulla di più grande o completo. Anselmo argomenta che anche se un non credente può dire "Dio non esiste" nel proprio cuore, ciò è frutto di una mancanza di comprensione del concetto stesso di Dio. Poiché Dio è definito come il massimo essere concepibile, chiunque comprenda appieno questa definizione deve anche accettare che Dio esista, poiché non può pensare nulla di più grande.

3) Una volta compreso l'argomento, spiega perché Anselmo lo ritiene più semplice e diretto di quello esposto nel Monologio.
Anselmo ritiene l'argomento esposto nel Proslogio più semplice e diretto rispetto a quello del Monologio per diversi motivi:

Partenza dalla mente umana: Nel Proslogio, Anselmo parte dalla presenza del concetto di Dio nella mente umana. Questo rende l'argomento più immediato e intuitivo, poiché coinvolge direttamente l'esperienza individuale e la capacità umana di pensare e comprendere concetti.
Assenza di argomenti intermedi: Nel Proslogio, Anselmo cerca un argomento che sia auto-sufficiente e non richieda ulteriori argomentazioni o concetti intermedi per essere compreso e accettato. L'idea è quella di trovare un'unica dimostrazione che sia sufficiente a stabilire l'esistenza di Dio, senza dover ricorrere a varie prove o ragionamenti concatenati come nel Monologio.
Sintesi dell'idea del più grande in assoluto: Anselmo sostiene che l'argomento del Proslogio sia più semplice perché si basa sull'applicazione diretta dell'idea del più grande in assoluto a Dio. Questo concetto, una volta compreso, rende evidente che Dio è qualcosa di cui non si può pensare nulla di più grande, e quindi, secondo Anselmo, ne deriva logicamente la sua esistenza.

In sintesi, Anselmo considera l'argomento del Proslogio più semplice e diretto perché si basa sulla presenza intuitiva del concetto di Dio nella mente umana e sull'applicazione diretta di concetti filosofici basilari come quello del più grande in assoluto, senza la necessità di argomentazioni complesse o intermediarie.

Fonti: Zanichetti, libri scolastici superiori

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